Recensioni / De Luca fra grandi miti appassiti e piccole verità in cui credere

Scritti randagi senza collare

In un decennio che segnò molte vite e venne poi sfregiato dalla condanna a morte di Aldo Moro, fu un piccolo pronome a contenere l'orizzonte del mondo. Dentro quel «noi» s'infiammò e divenne cenere, parte di una generazione, «insieme inservibile, inapplicabile alle buone maniere» che andò in malora fra l'umido delle carceri e il buio dell'esilio, o con un ago conficcato in vena. Ma la sillaba che un tempo ospitò i quattro punti cardinali non s'è rinsecchita in un pallido «io»: è rimasta piaga, senza farsi cicatrice. E riappare in Pianoterra, il libro in cui sono raccolti gli scritti che Erri De Luca ha pubblicato sul supplemento del quotidiano «Avvenire». Un appuntamento fisso, quello dello scrittore napoletano con i lettori del giornale cattolico.

E qui il primo contrasto: come salta in testa ad un ex militante di Lotta Continua, oggi militante in proprio e improprio, di affidare parole ad un quotidiano così lontano dalla sua storia? «Potevo scriverci quel che volevo: ne ho approfittato», spiega De Luca in una breve "quarta" di copertina. Ma forse la risposta è racchiusa tra le righe di «Vista da un cornicione», cronaca delle sue giornate da muratore (lavora tuttora in una cooperativa edile romana) e dell'amicizia con il capomastro: vent’anni fa si fronteggiarono negli scontri all'università, l'uno studente e l'altro carabiniere. Insieme, oggi, impastano calce sotto un sole che fa venir voglia di cantare. («Vivere a lungo ha almeno questo vantaggio - scrive De Luca -: poter anche diventare amico del proprio nemico»).

E in questi pochi moggi di presente allunga adesso le radici quell'antico «noi». L'Angola, il Cile e il Vietnam sono ormai terre lontane, svanite oltre l'orizzonte. «Riesco ad avere pietà solo per il prossimo - si legge - che non è la larga umanità remota che si intende oggi con questo termine, ma il suo antico senso di superlativo della parola “vicino”, il vicinissimo, l'estraneo che inciampa un passo avanti a me». È vicinissima la Bosnia, che Erri De Luca ha più volte attraversato guidando furgoni in un convoglio di aiuti umanitari. Ma vicinissima è anche Napoli, città che De Luca abbandonò a 18 anni e nella quale ritorna spesso tra le pagine dei suoi racconti. Città da «pianoterra» che l'Unesco pensa di nobilitare dichiarandola «patrimonio mondiale dell'umanità». L'iniziativa accende il sarcasmo dello scrittore: «O Napoli, come credo, è già penetrata nelle ciglia e nei ventricoli del mondo, oppure non sarà il tiepido onore di un timbro Onu a farcela entrare». Meglio restare a «pianoterra», dove le cose hanno una prospettiva insolita. E del resto, scrive De Luca, «la Bibbia mi ha insegnato a correggere la vanità dei libri, collocandoli all'altezza del suolo, tra i piedi, le scarpe e le scope».

Erri De Luca, Pianoterra, Edizioni Quodlibet, pagine 97, lire 16.000