i vorranno probabilmente altri
dieci anni prima che la Cambridge University Press finisca di
pubblicare tutti gli n volumi
dell'epistolario di Ernest Hemingway. Iniziato nel 2on, il progetto è
arrivato circa a metà strada nel 2020,
quando è uscito il quinto tomo. Con la
raccolta di tutte le 6 mila lettere avremo il
ritratto completo, non solo letterario, di
uno degli scrittori più influenti del Ventesimo secolo che, in un'epoca ancora lontana dai social, dalle email e da WhatsApp, aveva in fondo le stesse preoccupazione degli scrittori di oggi, tanto da confidare all'amico e collega Hugh Walpole:
«Per la prima volta ricevo lettere dai lettori. Ho risposto a tutti: ma ci vuole almeno
mezz'ora a scrivergli. Ma... se non rispondo si arrabbiano? Non comprano più i
miei libri?».
Proprio dalla consapevolezza che poco
è destinato a rimanere degli scambi virtuali che ogni giorno tutti, scrittori compresi, ci scambiamo, il Festivaletteratura
di Mantova ha scelto di celebrare questo
genere letterario destinato probabilmente a scomparire, con una serie di incontri
dedicati a tre epistolari importanti pubblicati negli ultimi tempi: quelli di Fëdor
Dostoevskij, Goliarda Sapienza e Stefan
Zweig. Nel corso della rassegna verranno
letti e commentati dai curatori dei volumi insieme a critici e scrittori.
Al focus si aggiunge a Mantova (il festival si svolgerà dall'8 al 12 settembre) la
«panchina epistolare», un formai nato
nel 2019 che prevede la lettura partecipata della corrispondenza tra due figure
emblematiche della letteratura del passato. Quest'anno la scelta è caduta sulle
Lettere d'amore tra Guido Gozzano e
Amalia Guglielminetti, un intenso e poetico scambio fatto di attese, incertezze,
pause e riprese. «Voglio essere leale fin
dagl'inizii, come si usa fra i mercanti: io
non sono un amico spirituale: sono tutt'al più un mediocre interlocutore cerebrale... Non credo nella psiche e ho un
profondo disprezzo per la mia e per la vostra anima, alle quali non attribuisco
maggior valore dell'energia che muove
un lombrico e della clorofilla che colorisce uno stelo d'erba», scrive Gozzano nel
1907 all'autrice di Le vergini folli, raccolta
che fu il motivo dell'avvicinamento tra i
due. «Ella compie nel suo libro, Egregia
Guglielminetti, quasi un vergiliato, e
conduce il lettore attraverso í gironi di
quell'inferno luminoso che si chiama
verginità», scrive il poeta in una delle prime missive che l'editore Quodlibet ha ristampato nel 2019. Il fascino del carteggio risiede anche nel mistero che circonda gli originali: come ricostruisce bene
nella postfazione Franco Contorbia che
lo ha curato, il volume riprende infatti
l'edizione del bibliofilo Spartaco Asciamprener (Garzanti, 1951) che possedeva
l'epistolario, morto dopo la pubblicazione, nel 1954, in un incidente stradale.
Quando le lettere vengono vendute dagli
eredi se ne perdono le tracce.
Tra i carteggi di maggior rilevanza culturale usciti in Italia negli ultimi tempi
c'è naturalmente la raccolta completa
delle lettere di Dostoevskij, molte delle
quali inedite, pubblicate dal Saggiatore
in occasione del bicentenario della nascita dello scrittore. Missive che traboccano
di materiale biografico-romanzesco: la
passione per il gioco, la nascita dei capolavori, la condanna a morte, la grazia ottenuta pochi minuti prima di salire al patibolo, le riflessioni sulla fede, il destino
della Russia, il bisogno di denaro che lo
accompagnerà tutta la vita. Lo stile concitato e febbrile che caratterizza gli scritti
lo rende quasi un personaggio dei suoi libri, capace di trasformare la letteratura in
vita. «Anja cara, amica mia, moglie mia,
— scrive con candida impudicizia il 24
maggio 1867 alla compagna — perdonami, non chiamarmi mascalzone! Ho
compiuto un misfatto, ho perso tutto ciò
che mi hai inviato, tutto, tutto, fino all'ultimo kreuzer, ieri ho ricevuto il denaro e
ieri l'ho perso». L'ultimo testo disponibile è addirittura scritto in terza persona:
«Per circa 17 ore Fëdor Michafjlovic è stato totalmente certo di morire... Ora è cosciente e in forze ma teme che l'arteria
scoppi di nuovo».
Spinoza, Beckett, Leopardi, Manzoni,
Verga, Ungaretti, Montale: l'elenco di
scrittori che, a volte a loro insaputa, hanno lasciato ai posteri, oltre a romanzi e
versi, anche parole privatissime, dedicate
al lavoro, all'amicizia, all'amore è lungo e
profondo e ci dice molto delle loro debolezze, del loro narcisismo, di minimi,
spesso triviali problemi di salute odi economia domestica, ma anche dei percorsi
che il loro genio ha battuto prima di consegnarci capolavori o opere non riuscite.
Ma spesso anche della distanza tra l'autore e l'uomo. Le lettere d'amore, poi, mettono spesso i lettori in una condizione di
disagio voyeuristico, come di chi si trovasse a spiare dal buco della serratura
qualcosa che non sarebbe né opportuno
né lecito vedere. Anche i critici si sono
spesso divisi tra chi rileva un'assoluta
continuità tra libri ed epistolari, e chi invece sostiene la tesi di una complementarietà.
Angelo Pellegrino, nella prefazione a
Lettere e biglietti, volume edito da La nave di Teseo che conclude la pubblicazione quasi ventennale dell'intero corpus di
Goliarda Sapienza, parla, a proposito della scrittrice catanese, di una «quarta voce» dopo quella dei romanzi autobiografici, dell'Arte della gioia, dei Taccuini. Le
sue lettere, scrive, «non hanno mai un
carattere pratico, com'è spesso dell'ordinaria corrispondenza, ma sono sempre
dettate dall'esclusivo bisogno di trasmettere un modo di pensare e di essere, insieme a un modo d'amare» e sono indispensabili per conoscere Goliarda, la sua
opera, il suo tempo. Il volume è un florilegio che mostra la varietà di persone con
cui la scrittrice ebbe rapporti di amicizia,
di lavoro, d'amore,compreso l'allora presidente della repubblica Sandro Pettini,
legato ai suoi genitori dalla comune fede
socialista. A lui, perorando la causa del
suo libro L'arte della gioia, in cerca di
pubblicazione, fa un interessante excursus sullo stato delle lettere di quegli anni.
Per quanto il genere epistolare abbia
una sua convenzionalità retorica e stilistica, nella scrittura privata c'è spesso un
minore lavoro di cesello sullo stile. Ma, al
di là della forma, compaiono in modo
più spontaneo e non controllato, le ossessioni dell'autore o le riflessioni su temi cruciali della vita pubblica, come dimostra, per fare un esempio recente, il
carteggio fra lo scrittore francese Albert
Camus e l'intellettuale Nicola Chiaromonte, pubblicato da Neri Pozza (In lotta
contro il destino. Lettere 1945-1959)di
cui ha scritto Alessandro Pipemo sul numero scorso de «la Lettura».
Un documento illuminante, di cui si
parlerà al Festivaletteratura, sono le lettere che lo scrittore austriaco naturalizzato
britannico Stefan Zweig e il giovane Hans
Rosenkranz si inviarono tra il 1921 e il
1933. Il carteggio, uno scambio di opinioni su questioni letterarie, politiche, identitarie e sioniste è stato donato nel 2016
alla Biblioteca nazionale di Israele, che lo
ha reso disponibile per la consultazione
online. La casa editrice Giuntina lo scorso anno ha pubblicato per la prima volta
in italiano, con il testo originale tedesco,
le 24 lettere e le 6 cartoline di Zweig. Il loro rapporto nasce quando il sedicenne
Hans scrive una lettera all'autore già affermato chiedendogli consigli per diventare scrittore e accludendo alcune poesie. Zweig risponde con generosità e partecipazione, colpito dalla precocità intellettuale del ragazzo e inizia un rapporto
di amicizia intessuto di letteratura, politica ed ebraismo. La profondità e l'urgenza dei temi trattati fa emergere un affresco della società dell'epoca, dall'Austria
colta e liberale fino ai venti totalitaristi
della Repubblica di Weimar. «Chissà, forse la Germania e l'Europa diventeranno
così cupe che lo spirito libero non potrà
più respirarvi», scrive Zweig all'amico
che, infatti, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale emigrerà in Palestina.
La storia della cultura è piena di scambi imprevedibili, testimonianza di amicizie accese per caso e spente, di amori roventi e di tiepidi addii, di incontri intellettuali tra espressioni artistiche diverse.
Quanta reticente complicità si può leggere nel carteggio (pubblicato da Adelphi)
tra un genio del cinema come Federico
Fellini e il padre di Maigret, Georges Simenon (nel 196o lo scrittore era presidente della giuria al festival di Cannes
quando La dolce vita vinse, suscitando
qualche polemica, la Palma d'oro) o tra
due giganti della letteratura come Henri
James e Robert Louis Stevenson (i loro
scambi sono usciti in Italia da Archinto,
editore che da sempre ha un catalogo dal
forte cuore epistolare)? Per non parlare
del sodalizio artistico (senza alcuna concessione alla confidenza) tra Hugo von
Hofmannsthal e Richard Strauss che per
oltre vent'anni lavorarono insieme, quasi
sempre restando lontani, l'uno in Austria, l'altro in Germania che fece dire al
critico tedesco Richard Alewyn: «Nella
letteratura mondiale non c'è nulla che sia
paragonabile a questo epistolario».
Le lettere tra Vincent van Gogh e il fratello Theo hanno peunesso anche agli
studiosi di ricostruire la vita, gli spostamenti, le difficoltà dell'artista, mentre la
corrispondenza che mescola erotismo e
letteratura,tra due grandi come l'artista
spagnolo Salvador Dali e lo scrittore connazionale Federico García Lorca illumina
l'opera dell'uno e dell'altro.
La corrispondenza amorosa è senza
dubbio il genere più pericoloso, quello in
cui la parola è maggiormente a rischio di
usura. Nella cristallizzazione dei cliché e
degli stereotipi retorici anche la più ardente verità può risultare insufficiente.
Un genere in cui mostrò grande maestria
e raffinatezza di scrittura, fin da giovanissima, Virgina Woolf. Il suo carteggio con
Vita Sackwille-West anche lei scrittrice,
aristocratica ed esuberante, non è solo la testimonianza di un amore che sfida le convenzioni dell'epoca senza per questo poter
essere ascritto a una forma di militanza,
ma il segno di una libertà espressiva straordinaria per l'epoca: «Creatura carissima, era molto bella la lettera che hai
scritto alla luce delle stelle a mezzanotte.
Scrivi sempre a quell'ora, perché il tuo
cuore ha bisogno del chiaro di luna per
liquefarsi», sono le parole di una lettera
di Virginia che hanno dato il titolo a un
volume pubblicato da Donzelli (Scrivi
sempre a mezzanotte).
La maggior parte degli epistolari
d'amore nasce senza riguardo per un ipotetico lettore, rappresentano un momento di esposizione assoluta che può passare dal rapporto travolgente, esaltante e
insieme autodistruttivo, bruciato per
troppa forza in un brevissimo volgere di
tempo (1916-1918 gli estremi del carteggio) tra Dino Campana e Sibilla Aleramo,
alla lontananza ricercata da Fernando
Pessoa con la giovanissima dattilografa
Ophélia Queiroz: «Tutte le lettere d'amore/ sono ridicole. Non sarebbero lettere
d'amore se non fossero/ ridicole».
Illuminanti e commoventi sono le lettere, circa 300, di Vladimir Nabokov alla
moglie Vera. Venute alla luce nel 2010,
consentono di ripercorrere una storia
d'amore durata più di cinquant'anni, dall'
epoca del loro incontro a un ballo benefico nella Berlino del 1923 fino a poco prima della morte dello scrittore, nel 1977. A
renderle note è stato il figlio Dimitri che,
nel 20o9, ha anche pubblicato il romanzo
postumo e incompleto L'originale di
Laura, benché il padre ne avesse disposto la distruzione. Il dibattito sulla liceità
o meno di pubblicare postumi testi che
l'autore non avrebbe voluto dare alle
stampe, d'altronde, è un tema che ha
sempre attraversato l'editoria. A favore
c'è sempre l'esempio di Franza Kafka i cui
capolavori non sarebbero mai stati conosciuti se l'amico Max Brod avesse obbedito alla sua richiesta di distruggere i manoscritti, compresi gli epistolari, tra cui
le Lettere a Milena e la Lettera al padre
(mai spedita).
Anche Eugenio Montale si augurava,
forse solo per civetteria, che delle sue
carte si facesse «un bel falò» come ha ricordato Paolo Di Stefano sul «Corriere
della Sera» del io marzo scorso dando
conto dell'epistolario inedito pubblicato
da Archinto tra il poeta di Ossi di seppia
e una delle sue muse, la giovane «Nike»,
cioè Margherita Dalmati (nom de plume
di Maria-Nike Zoroyannidis), conosciuta
a Palermo e ritrovata nel '62 in Grecia, dove era inviato del «Corriere». Una passione matura che lo spingeva a scrivere ancora nel 1968: «Tu continui a essere per
me mia moglie, mia madre, mia figlia e
persino la mia amante».
In quegli stessi anni anche Giuseppe
Ungaretti ebbe scambi assidui con una
giovane poetessa brasiliana di origini
piemontesi, Bruna Bianco. Quando si conoscono, a San Paolo, dove Ungaretti si
reca per visitare la tomba del figlio Antonietto, lui ha 78 anni e lei 26. Le scrive almeno 377lettere d'amore tra il settembre
1966 e l'aprile 1969 (sarebbe morto nel
197o), pubblicate da Mondadori nel
2o17.«Ecco, caro amore mio, tutto. Ti
penso sempre, Ti amo. Ti bacio. Il Tuo
Ungà», così si chiude l'ultima missiva.
Ma il messaggio finale arriva in Brasile
sotto forma di dedica in un libro, datata 6
novembre 1969: «L'amore mio per te arde
sempre sotto la cenere».