"Nato a Voghera, rinato a Roma"
diceva di sé Alberto Arbasino,
uno dei giganti del giornalismo e
della cultura italiana del Novecento, "intellettuale-dandy fastoso" di una frivolezza quasi violenta, come direbbe Proust,
omaggiato magistralmente in
Stile Alberto (Quodlibet) di Michele Masneri, che esce oggi in libreria. Ritratto prezioso e profondamente intimo, il lavoro di
Masneri, è anche e soprattutto
un libro su Roma, città profondamente diversa da quella attuale,
"internazionalmente cool" nella
quale all'epoca si approdava,
scappando dalla triste Milano.
«Arbasino arriva a Roma negli anni Cinquanta, quando la città era una capitale mondiale del
cinema, della cultura, del glamour. Liz Taylor e Richard Burton a via Veneto, Gore Vidal che
abita a piazza Argentina... Gadda alla Camilluccia. E anche una
città libera e solare rispetto alla
Lombardia punitiva e cupa da
cui arrivava» racconta Masneri,
che nel libro svela che Arbasino,
in realtà, nella capitale ci era finito, avvolto da velleità diplomatiche, per un deludentissimo assistentato alla cattedra prestigiosa
di Diritto internazionale e che,
velocemente in lui, crebbe soprattutto l'odio per l'università
italiana, con i professori fascisti
o ex fascisti, le aule scrostate, gli
studenti addormentati. Lui che
sognava e frequentava Harvard
e Stanford d'estate e arrivava da
studi alla Sorbona e dottorati negli Stati Uniti con Kissinger.
Nasce così, quasi per rigetto,
la figura di Arbasino "macchina
di stile", ineccepibile nell'abito
come sulla pagina, frequentatore mondano di salotti e nobili decaduti, che Masneri riesce ad avvicinare e a diventarne poi amico, facendosi ospitare più volte
nella casa di Via Gutturnio.
«Alberto era una persona
complessa e sensibile, che teneva molto alla sua privacy. Credo
che la parola giusta fosse pudica.
Odiava ogni tipo di senti mentalismo, anche se probabilmente
sotto sotto era un timido, un sentimentale, ma non voleva lasciar
che questo lato venisse fuori. Era
anche un atteggiamento tipico
della sua generazione», racconta
l'autore.
Particolarmente godibili inoltre risultano nel testo le pagine
dedicate al manoscritto misterioso, romanzo mai concluso, dal
quale Arbasino non si separava
mai negli ultimi anni di vita.
«Nell'ultima versione di Fratelli
d'Italia, quella del 1993 (opera
che lui riscrive tre volte) ci sono
molte pagine di un "romanzo nel
romanzo", che parlano di temi
molto simili a quelli del Petrolio
di Pasolini, il romanzo incompiuto che uscì l'anno precedente.
La crisi petrolifera, l'Enfi... un romanzo che non è mai uscito.
LA CASSAFORTE
Arbasino poi mentre scriveva
questa terza versione era angosciato che qualcuno gli rubasse il
manoscritto, e lo teneva in cassaforte», conclude Masneri. Un ritratto memorabile Stile Alberto,
una dichiarazione d'amore per
un personaggio irripetibile, simbolo, anche, di un giornalismo
fiorente che permetteva pagine
di reportage che poi diventavano
saggi e poi romanzi.