Recensioni / "Poetica della relazione" del martinicano Edouard Glissant. Un'erranza creola

La Tratta degli schiavi e la non-storia caraibica sono alla base della “creolizzazione” delle culture teorizzata in questo libro: una ibridazione, anche poetica, che si oppone all’universalsmo occidentale

«Esistono ancora centri di dominio, ma è evidente che non esistono più luoghi privilegiati ed esclusivi del sapere, metropoli della conoscenza». Queste parole di Édouard Glissant, tratte da un capitolo della Poetica della Relazione (Quodlibet, pp. 210, € 20,00, trad. di Enrica Restori) intitolato «Trasparenza e opacità», si posizionano in quel solco della lotta anticolonialista che annovera tra i suoi maggiori esponenti i martinicani Aimé Césaire e Frantz Fanon. La produzione poetica, teorica e narrativa dello scrittore loro conterraneo, nato nel 1928 in una zona remota dell'entroterra martinicano, allievo e discepolo dello stesso Césaire, è ancora poco nota in Italia, per motivi legati alla densità linguistica e concettuale e all'opacità» dei suoi testi.
È senz'altro degna di rilievo, perciò, la pubblicazione di quest'opera stilisticamente ibrida, poetica e fiosofica insieme, in cui Glissant rompe qualsiasi schema espressivo e cognitivo riconducibile agli ordini discorsivi occidentali. Proprio a fronte di una presunta intraducibilità, essa assume valore in quell'ottica di relazione asimmetrica, di ibridazione, che caratterizza, secondo l'autore, la relazione, la traduzione e la «creolizzazione» di linguaggi e culture nella «totalité-monde».
La scrittura di Glissant è, sin dagli esordi (Les Indes, 1956; La Learde, 1958) profondamente connessa all'abisso, fondatore della «non-storia» caraibica i enorme alienazione prodotta dalla colonizzazione europea e da oltre tre secoli di brutale tratta degli schiavi - «l’ olocausto degli olocausti» - nonché dal sistema di asservimento totale dell'essere umano realizzato nelle piantagioni estese dalla Louisiana a Bahia attraverso quella sorta di «prefazione al continente americano» che e l'arcipelago caraibico. Dall'abisso, dalla «permanente condizione ontologica di dolore» (Paul Gilroy, The Black Atlantic, Meltemi 2003) tradotta metaforicamente da Glissant nella visione della «stiva» della nave negriera - «il ventre stesso della bestia» risorge quel grido di ribellione e di rifiuto che si tradurrà nell'esperienza storica del «marronaggio» ossia nella fuga dello schiavo dall'universo delle piantagioni per rifugiarsi sulle alture nel cuore della foresta e dar vita a comunità di ribelli. Da quel grido mai estinto e dalla traccia da esso lasciata nell’inconscio dei popoli della Tratta, custodita dalla voce notturna e ambigua del conteur créole nasce una parola nuova e carica di sentimento profetico verso le umanità del mondo quello che Glissant chiama il «pensiero del Tout-monde» Da questo nucleo storico si generano alcuni dei temi-chiave della Poetica della Relazione che appaiono tra di loro intrecciati proprio come quelle radici «rizomatiche» che Glissant, traducendo il concetto di rizoma elaborato da Deleuze e Guattari assume come modello identitario contrapposto alla «radice unica», che caratterizza invece i modelli di pensiero «continentali». I «pensieri di sistema» si sono dimostrati, infatti, tanto sontuosi e fecondi per. l'Occidente, quanto mortali per i popoli cui sono stati imposti. L'eco profonda di quel grido originario, al contrario, prende forma traducendosi m un «pensiero dell'erranza e della Traccia», profondamente distante dall'universalismo occidentale e che si pone agli antipodi del «pensiero dell'Uno» e della violenza epistemica (Gayatri C. Spivak Critica della ragione postcoloniale; Meltemi 2004) del discorso coloniale.
II percorso teorico, articolato in un movimento spiraliforme in cinque sezioni, si configura dunque come un'«evasione» dall'Essere inteso come «substans fondativa», mostrando in filigrana una serie di parentele con quella critica della metafisica occidentale elaborata dal post-strutturalismo europeo, da Derrida a Foucault, ma anche con alcuni critici postcoloniali come Said, Bhabha e Rushdie. L'originalità dei concetti in Glissant mantiene comunque una costante autonomia rispetto al pensiero euro-occidentale e sorge da un profondo senso della specificità caraibica. Il pensiero occidentale, secondo lui, traduce il proprio impulso universalizzante in un'esigenza di trasparenza, per cui ogni forma di alterità è comprensibile attraverso le istanze della ragione. Questa «volontà di potenza» del logos e il relativo impulso alla «comprensione» dell'altro rivelano il nesso profondo tra volontà di potere e volontà di sapere. «Per poterti "comprendere" - afferma Glissant - e dunque accettarti, devo ricondurre il tuo spessore a quella scala di valori ideale che mi fornisce motivo di paragoni e forse giudizi. Devo ridurre».
Da questa prospettiva il poeta martinicano - con un vero balzo in avanti oltre le politiche del riconoscimento della diversità, facilmente manipolabili dagli apologeti del multiculturalismo relativista e spesso prossime a nuove forme di «razzismo postmoderno» -rivendica strenuamente il «diritto all'opacità», ossia a una «divergenza esultante delle umanità» e a una «singolarità non riducibile» che non si racchiuda in una sorta di autismo identitario ma che fondi le basi di un divenire di scambio continuo con l'Altro: «La trasparenza non appare più come il fondo dello specchio in cui l'umanità occidentale rifletteva il mondo a sua immagine; in fondo allo specchio c'è ora opacità, tutto un limo depositato dai popoli, limo fertile ma, a dire il vero, incerto, inesplorato, ancor oggi molto spesso negato o offuscato, di cui non possiamo non vivere la presenza insistente». Ed è proprio la presenza «insistente» di ciò che Lévinas ha definito come «la trascendenza del volto dell'altro» che rende possibile quel fenomeno carico di imprevedibilità che è la creolizzazione.
La creolizzazione delle culture nella totalità-mondo non si basa dunque sull'appartenenza a un territorio, bensì sulla conflittualità e l'imprevedibilità di risultanti della Relazione, sull'erranza e sul multilinguismo. Scrivere oggi, afferma Glissant, significa irrevocabilmente scrivere «alla presenza di tutte le lingue del mondo», anche quando non si parla che la propria. Questa poetica di apertura non nasconde gli elementi più problematici della globalizzazione. Lo scandaglio lirico dell'abisso del bateau négrier da cui questa poetica sorge, si rovescia nel capitolo iniziale in un'eco baudelairiana che si fa metafora viva dell'intera poetica di Glissant «Salve, antico Oceano! Preservi sulle tu creste la sorda imbarcazione delle nostre nascite; i tuoi abissi sono i nostro stesso inconscio, solcati d fuggitive memorie. Poi disegni queste nuove rive, noi vi ancoriamo li piaghe striate di catrame, le bocca arrossate e i clamori taciuti. (...) Ci conosciamo, folla, nell'ignoto chi non atterrisce. Gridiamo il grido di poesia. Le nostre barche sono aperte, le navighiamo per tutti».