Il romanzo Fratelli d'Italia (edizione definitiva Adelphi, 1993)
di Alberto Arbasino è uno dei
più citati e forse meno letti. Peccato, è di una bellezza travolgente, e
si può senz'altro seguire il consiglio
di Michele Masneri: aprire a caso e
iniziare a leggere. C'è tutto il nostro
Paese ma anche molto di più. C'è un
modo di intendere l'arte (e la vita)
radicalmente diverso da quello al
quale siamo abituati. C'è uno stile
inimitabile. Ce lo racconta appunto
Michele Masneri in Stile Alberto
(Quodlibet, pagg. 155, euro 14,50).
Un libro delizioso, in cui Masneri
parla di Arbasino anche per dire della propria educazione sentimentale,
e in cui Arbasino assume il ruolo di
involontario maestro, senza insegnare nulla, che è la cosa migliore. Basta l'esempio. Ecco qualche esempio di stile Arbasino. Fate voi il paragone con molti altri scrittori, che
non hanno un'opera vera, neppure
un'operina, perché mancano completamente di stile, sulla pagina e
non solo.
SPREZZATURA
Trattare con serietà
le cose leggere e con leggerezza le
cose serie. Essere pesanti dovrebbe
essere un reato. Se lo fosse, metà degli scrittori arruolati dai giornali sarebbe oggi in carcere. Il giusto atteggiamento verso un problema personale: never complain, never explain,
mai lamentarsi, mai spiegare. Al
punto che quando muore l'amato
fratello, Arbasino si alza da tavola
senza dire una parola ai commensali e sparisce. Da non dimenticare la
frase di Marcel Proust: «La frivolezza è uno stato violento».
VAFFA
L'importanza di un bel «vaffa» senza rimorsi davanti all'invadenza altrui e soprattutto alla richiesta di prestazioni professionali da
elargirsi gratuitamente. Impensabile oggi che c'è la fila per partecipare
anche alla sagra della patata dolce,
anzi: qualcuno probabilmente sborserebbe pur di esserci.
lti , a tv cm, iiás>ueMg.. Garanzia di un
amore duraturo: non dormire mai
nello stesso letto, meglio ancora,
non abitare sotto lo stesso tetto. «Altrimenti uno dei due si trasforma in
maggiordomo». Per questo Arbasino condivise la vita con «l'amico Stefano» ma non la casa. Un romanziere da quattro soldi ci farebbe subito
un romanzo da tinelli.
Negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta, Duemila, Arbasino se ne è fregato dei
gusti sessuali propri e altrui: l'erotismo, comunque fosse declinato, era
un tema come gli altri, non c'era
niente da drammatizzare. Regola generale, legata a una visione insieme
arcaica e aristocratica della faccenda: don't ask, don't tell, non chiedere, non raccontare. E ricordarsi di
non rinchiudersi in un ghetto a causa di battaglie che, iniziate con le
migliori intenzioni, finiscono con
mettere un'etichetta limitante su tutto. Un romanziere da quattro soldi
farebbe subito un romanzo arcobaleno.
VESTITI
Oggi si va ai festival in infradito, camicia hawaiana e occhialoni
con spessa montatura nera. Arbasino invece andava in giacca (senza
spaccature) e cravatta. Meglio evitare i completi, ma se proprio si deve,
che sia una tonalità di grigio. La giacca blu con i bottoni dorati. La cravatta regimental o con i disegnini Hermès. Calze da abbinare all'abito e
non alla cravatta («errore imperdonabile»). Camicie bianche o azzurro
slavato. «La mattina però stanno bene anche quelle a righine azzurre
sottili». Calzino corto da fucilazione
immediata, sempre lungo, se necessario con ricorso alle ghette. Scarpe
inglesi. In Fratelli d'Italia si arriva
anche alla scelta degli accessori. Chi
avrebbe mai detto che due pagine di
buone maniere applicate al guardaroba potessero contenere più suspense di un thriller con detective
depresso incorporato? Eppure è così. Arbasino ti tiene sulla corda con
un paio di guanti. Questione di stile,
più che mai.
ORIGINI
«Cosmopolita ma feudale»,
bella definizione di Masneri. In una
parte (ben nascosta) dell'anima, Arbasino sapeva di essere un «anonimo lombardo», come si firmerà in
uno dei suoi libri più belli. «Dimenticare Voghera? Non è umanamente
possibile» diceva scherzando
all'amico Giovanni Testori. Tuttavia
si può pensare alla Bassa pavese anche frequentando i corsi estivi di
Stanford e Harvard, luoghi dai quali
il giovane Arbasino si portò dietro
qualche amico, in particolare Henry
Kissinger, al quale servire «una bibita» (gin and tonic) osservando Roma dall'alto.
RIVALITÀ
Di fronte a un rivale detestato, si può tornare all'infanzia e al
vecchio scherzo telefonico. Quando
Truman Capote era ospite di qualche amico, Arbasino prendeva accordi per solleticare l'ego di Truman. Drüin. Il padrone di casa, complice di Arbasino, andava a risponde
re. «Truman, c'è Marella Agnelli per
te» e Truman correva a rispondere.
«Hallo Marella». E Arbasino, dall'altra parte del filo, buttava giù la cornetta. Ci si divertiva con poco.
«Nipotino» dell'ingegner
Carlo Emilio Gadda, in compagnia
di Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori. La definizione auto-imposta,
nota Masneri, significa saltare un'intera generazione della letteratura italiana, quella di Alberto Moravia, per
intenderci. Arbasino era chiamato
spesso maestro o professore. Lui sogghignava ricordando la risposta di
Giorgio De Chirico alla domanda:
«Come la dobbiamo chiamare?». De
Chirico: «Chiamami Peroni, sarò la
tua birra».
SAGGI
Si giudicano a colpo d'occhio
dalla bibliografia. Se è fatta male,
vuol dire che ci sono poche speranze. Quella «confidenziale» di Masneri è compilata bene.
Un albero genealogico è bello come una bibliografia.
POLITICA
Negli anni Ottanta fece
una rapida legislatura come indipendente eletto nelle liste del Partito repubblicano. Ricordi micidiali, odio,
disgusto. Aveva legato solo con qualche peones e con Nilde Iotti («Una
vera preside»). Fu tra i pochi a superare l'esame del presidente dandy,
Sandro Pertini, che passava in rassegna, al Quirinale, i papillon degli
ospiti per verificare che fossero veri
e non pre-annodati.