Recensioni / “Il mio giro del mondo sulle tracce del passato per l’architettura di domani”

Il cohousing? È nato in Cina intorno all'anno Mille, solo che si chiamava Toulou. La termoregolazione? È vecchia come il mondo come testimoniano le città del vento in Pakistan. E pure le città sotterranee per sfuggire a climi ostili, come succede a Montreal, esistono da prima di Cristo. Lo racconta l'architetto Mario Cucinella nel suo saggio appena uscito per Quodlibet Il futuro è un viaggio nel passato. Dieci storie di architettura, in cui disegna una sorta di mappa di luoghi rilevanti per progettare le città di domani. Sostenibili e inclusive.

Architetto Cucinella, è il meno tecnico dei suoi libri ma pure quello in cui si ritrovano le ragioni più profonde del suo pensiero. Come nasce?
«All'origine doveva esserci il regalo peri miei sessant'anni, compiuti il 29 agosto del 2020, un viaggio intorno al mondo, saltato per il Covid. Volevo tornare nei luoghi che mi avevano affascinato e ispirato nel lavoro, metterli in fila per fare un discorso coerente, si pensava anche a una serie tv, sulle tracce che l'uomo ha lasciato nei secoli in cerca di un rapporto di empatia con l'ambiente, dell'uso razionale delle risorse naturali. L'ho fatto con un libro. Non con intenti nostalgici, ma semmai per capire quali spunti dal passato potessero arrivare per rispondere agli obiettivi dell'agenda 2030. Per fare pace con il pianeta».

E quali sono i più interessanti da questo punto di vista?
«Interessanti tutti. Le posso dire quelli che ho tentato di reinterpretare in chiave contemporanea. Innanzitutto Tecla, la casa costruita in terra cruda con la stampante 3D a Massa Lombarda, ispirata alle case marocchine di Ait Ben Haddou. Ma pure la sede di Arpae a Ferrara, ideata pensando alle case del vento in Pakistan. Oppure il policlinico di Algeri con un progetto nato studiando i bimaristan, gli antichi ospedali islamici, dove nel percorso terapeutico venivano inclusi i giochi, la biblioteca, le fontane e soprattutto dove venivano curati tutti, senza distinzione. Fa venire in mente Gino Strada».

Qual è quello che le è piaciuto di più invece?
«Gli stepwell di Ahmadabad in India. Sono riserve d'acque. Potevano essere solo dei pozzi, sono invece edifici praticamente rovesciati, si scende e a ogni piano si incontrano piccole stanze, si prova una sensazione di frescura. La luce si fa sempre più flebile, ma l'iride si dilata progressivamente, e poco dopo la scarsa luce è sufficiente per cogliere ogni piccolo dettaglio, le figure scolpite a migliaia sulle colonne. Un luogo davanti al quale mi sono chiesto cosa fare affinché l'architettura tomi a emozionare così».

Nel suo viaggio ci porta anche alla scoperta di uno strano gelato.
«È una storia divertente quella del gelato di Marco Polo. Nel Milione l'esploratore racconta che in Iran, vicino a Yazd, nel 1270 gli venne offerta una sorta di granita a base di noodle di riso, frutta secca e sciroppo. Una strana combinazione, ma il punto è che era nel deserto. Come? La risposta sta probabilmente nelle case del ghiaccio, yakhchal in persiano, particolari edifici progettati appositamente per produrre ghiaccio nelle aree desertiche. Capolavori di ingegneria, un sistema di conoscenze tecniche, fisiche e architettoniche che fa parte delle tante lezioni perdute che dovremmo recuperare».

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