Alberto Arbasino chi? Scrittore? Risposta
imprecisa. Intellettuale? Riduttivo.
Giornalista? A chi? Di sicuro era «uno dei pochi
a poter esibire un papillon vero e non preannodato, certificato dal presidente partigianodandy Sandro Pertini che li controllava uno a uno
nelle cene al Quirinale». Nella Milano di oggi
alcuni lo definirebbero «copy»; il tormentone,
la gita a Chiasso, la casalinga di Voghera:
invenzioni sue. O forse era il Google umano?
«Come il motore di ricerca ci potevi fare tutto,
leggere, trovare collegamenti, fare acquisti, e c'era
soprattutto la funzione maps» per trovare
i castelli di Ludwig e le regge di Sissi, la California
di Christopher Isherwood e l'Emilia del
Correggio. La risposta esatta c'è, il mistero
Arbasino si spiega tutto in una sola parola:
nell'ultima frase dell'ultima pagina di Stile
Alberto, libricino di ricordi scritto da Michele
Masneri e pubblicato da Quodlibet.
Perché leggerlo, perché invidiare l'autore? Perché
questo libro, senza dirlo mai, mostra quanto può
valere un'amicizia. E anche cos'è un amore,
segreto e dolcissimo. A guardar bene è perfino
un libro di storia, perché racconta un'Italia che
non c'è più (ma che è esistita davvero: lo
dimostrano i libri e i film che sono rimasti).
D LEGGERE OGGI il resoconto degli incontri
dell'allora giovane Masneri (oggi 47enne
firma del Foglio) con il suo autore-mito
è un modo per rendere omaggio a un gigante
del Novecento (che se ne è andato a marzo, l'anno
scorso, nei giorni in cui si diceva «andrà tutto
bene»). Come guardando Il Divo di Sorrentino,
non sai mai come dividere il merito dell'opera
tra il narratore e il narrato. Alla fine del libro
c'è perfino una punta di giallo (ha a che fare con
Petrolio di Pier Paolo Pasolini); e poi, gli incontri
di Arbasino con Henry Kissinger e Truman
Capote; i sentimentalismi e i consigli di vita, fino
alle dritte sulle calze: «Intonate all'abito (e non,
tragico errore, alla cravatta), quindi generalmente
grigie, e talvolta blu. Abbi calzetti scozzesi,
ma bellissimi e pochissimi».