Recensioni / Mark Twain e la «terribile» lingua tedesca

Ci sono distanze che spesso sono meno incolmabili di quanto si potrebbe credere, come quella che separa Mark Twain e Homer Simpson, così lontani nel tempo nei modi e nelle forme, ma così vicini nell'attrazione e repulsione nei confronti della lingua tedesca. «Germans have a word for everything», «I tedeschi hanno una parola per tutto», dice infatti con invidia e disappunto Babbo Simpson alla famiglia riunita a tavola, in particolare alla figlia Lisa, commentando il significato sottilmente diabolico (ma anche umano, troppo umano, si vorrebbe aggiungere) di un sostantivo tedesco molto in uso negli Stati Uniti: "Schadenfreude" («gioia per le disgrazie altrui»).
"Andarsene" (ma alla svelta)
Il saggio e disincantato Homer esprime un'innegabile verità, perché il tedesco è una lingua che con le sue infinite possibilità combinatorie - sostantivi e verbi composti, in particolare, e poi prefissi e suffissi, rigide concordanze degli aggettivi, non da ultimo l'enorme casistica del dativo - riesce a coprire pressoché tutto lo spettro di occorrenze della cosiddetta "realtà" (non solo quella "esteriore", ma anche le strettoie dell'interiorità, come ci insegnano i Romantici e il Dottor Freud), ma per farlo richiede molte peripezie non solo a chilo studia e pratica da straniero, ma anche a chi è di madrelingua (ci sono vari "stupidari" della lingua tedesca, curati dal giornalista Bastian Sick, che non hanno nulla da invidiare ai più spassosi stupidari della lingua italiana).
E poi c'è un altro aspetto, opportunamente sottolineato da un funambolo dell'idioma di Goethe quale Gregor von Rezzori, uno dei più grandi scrittori del secondo Novecento: la lingua tedesca esprime tutto, diceva Rezzori, ma subito aggiungeva «perfino troppo». Quel «perfino troppo» la rende vagamente disumana, perché presuppone un ordine e un rigore che nella tragicommedia della quotidianità molto semplicemente non sono dati.
È possibile, ad esempio, che un verbo come "andarsene", "abreisen", obblighi chiunque lo utilizzi ad autentiche acrobazie sintattiche e grammaticali? Certo che è possibile, perché è un verbo composto (quindi scomponibile o separabile, col prefisso "ab" che va alla fine della frase) e bisogna maneggiarlo con molta cautela, se non altro per "andarsene" alla svelta ed evitare mostruosità come la seguente frase, tradotta alla lettera da un romanzo tedesco dell'Ottocento: «Fatte le valige, lui se ne, dopo aver baciato sua madre e le sorelle, e aver stretto ancora una volta al petto l'adorata Gretchen, la quale, vestita in un modesto abito di mussola bianca, con un giacinto nelle ampie volute dei folti capelli castani, scendeva a fatica per le scale, ancora pallida per il terrore e l'eccitazione della sera precedente, ma ansiosa di poggiare un'ultima volta la povera testa dolente sul petto di lui, che amava più della vita stessa, andò».

Santo protettore (e assolutore)
I corsivi, davvero degni di Homer Simpson, sono in realtà di Mark Twain, e la frase è contenuta in una delle pagine più esilaranti de La terribile lingua tedesca, il divertentissimo saggio che Twain dedicò alle particolarità del tedesco in occasione del viaggio in Europa de11878 ed è contenuto in appendice al resoconto del viaggio stesso, pubblicato nel 1880 col titolo "A Tramp Abroad". "La terribile lingua tedesca" esce ora anche in versione italiana in un volume edito da Quodlibet e ottimamente curato e introdotto da Dino Baldi, al quale si deve inoltre la più recente e filologicamente perfetta edizione della Germania di Tacito, pubblicata negli scorsi anni dal medesimo editore.
Il volume curato da Baldi ha peraltro il merito di proporre tutti gli scritti di Twain sul tedesco. Non solo, quindi, La terribile lingua tedesca, ma anche la strepitosa commedia in tre atti Meisterschaft, il racconto La signora McWilliams e il fulmine (semplicemente perfetto, col ritmo irresistibile di una slapstick comedy) e infine tre brevi interventi dal titolo Gli orrori della lingua tedesca, Le meraviglie della lingua tedesca e Una nuova parola tedesca. Come osserva simpaticamente lo stesso Baldi nella sua bella introduzione, «Mark Twain è il santo protettore e assolutore di tutti coloro che, per aspirazione individuale o per necessità, almeno una volta nella vita abbiano incrociato la propria strada col tedesco».
L'autore di Tom Sawyer era sicuramente affascinato «dalle stravaganze grammaticali e la moltitudine di regole» che permettono di dire tutto, perfino troppo, ma in generale trovava che il tedesco, con le sue parole che creano «una prospettiva» (i sostantivi composti che possono arrivare anche a ottanta lettere e bisogna osservare «col telescopio»), la costante ricerca del «verbo perduto» (perché alla fine della frase, spesso molte righe sotto il soggetto) e «il genere grammaticale che non coincide quasi mai col genere naturale», fosse nel suo insieme «un congegno perfetto e perfettamente insensato creato da un pazzo col mal di denti».

Rape e ragazze
Già, perché secondo Twain solo un pazzo col mal di denti avrebbe potuto creare una lingua nella quale «una ragazza ("Das Màdchen", neutro) non ha sesso, mentre una rapa ("Die Rùbe", femminile), ce l'ha. Questo fa riflettere sulla grande considerazione che i tedeschi hanno per le rape, e sul loro straordinario disprezzo per le giovani donne». Sono parole che potrebbe tranquillamente pronunciare anche Homer Simpson.
Eppure, malgrado tutto e anzi proprio per le sue ruvidezze, il tedesco lo ha affascinato per una vita intera, al punto che Twain lo ha studiato a più riprese ma senza mai giungere a risultati davvero soddisfacenti e alla Meisterschaft ("padronanza") gustosamente sbeffeggiata nell'omonima commedia.
Il motivo lo ha spiegato sul filo del paradosso lo stesso Twain, e vale non solo per lui ma per tutti, anche i germanofoni: «I miei studi filologici mi hanno dimostrato che una persona dotata è in grado di imparare l'inglese (tolta l'ortografia e la pronuncia) in trenta ore, il francese in trenta giorni e il tedesco in trent'anni. Se dovesse rimanere così com'è, converrà archiviarla rispettosamente tra le lingue morte, perché solo i morti avranno il tempo di impararla». Come dice un meraviglioso scambio di battute in Meisterschaft: «In fondo, anche il tedesco è meglio della morte...»; «Beh non saprei, dipende dal genere di morte...».