quasi certamente
un'esperienza che abbiamo fatto in tanti,
quella di Mark Twain.
Ma solo lo scrittore americano ha
saputo raccontarla con tanta autoironia e a tratti con la veemenza
dell'innamorato respinto. Odi et
amo, per citare Catullo. Nona caso, perché è proprio Twain (e non
solo lui, naturalmente) a notare la
somiglianza tra latino e tedesco.
Ed è il primo a dargli le pene
d'amore più grandi, raccolte nel
volumetto La terribile lingua tedesca, che ha inaugurato la collana
«Storie» di Quodlibet Iniziamo da
una delle tante curiosità del libro,
la parola che secondo il Guinness
dei primati è la più lunga del tedesco: Donaudampfschiffahrtselektrizittitenhauptbetriebswerkbauunterbeamtengesellschaft. Per tradune in italiano queste 79 lettere
servono 18 parole: associazione
dei funzionari subordinati dell'edificio principale di manutenzione dei servizi elettrici della navigazione a vapore del Danubio. A
far impazzire Twain - come dargli
torto - era in primis la struttura di
parole e frasi: nel lemma citato il
termine associazione (gesellschaft) dà il senso a tutto il resto,
ma viene crudelmente alla fine.
Allo scrittore capitò di andare a vedere con un amico il Re Lear
di Shakespeare nella città di Mannheim, un'esperienza poi così raccontata alla figlia Clara: «È stato
un errore. Abbiamo capito soltanto i tuoni e i fulmini, e anche loro
si comportavano alla maniera tedesca, a rovescio: prima arrivava
il tuono, poi il fulmine». Fonte di
cruccio, ma anche di inesauribile
ispirazione umoristica, furono
pure pronomi, declinazione degli
aggettivi e generi dei sostantivi.
«Il medesimo suono, sie, vuole dire "voi", ma può significare anche
"lei", "suo di lei", "esso", "essi",
"loro". Quanto dev'essere pitocca
una lingua per costringere una
parola a fare il lavoro di sei? E per
di più una povera, piccola parolina
indifesa di tre sole lettere».
Disperante pure un altro
aspetto della grammatica:
«Quando un tedesco mette le mani su un aggettivo, lo declina e insiste nel declinarlo finché non è
scivolata via anche l'ultima briciola di buon senso. E un incubo,
come in latino». Odi et amo, dicevamo. In un altro passaggio del
testo che dà il titolo al libro, pubblicato per la prima volta nel 188o
dopo un viaggio in Germania,
Svizzera, Francia e Italia, Twain
scrive: «In tutte le parole che
esprimono il pathos, il tedesco è
incomparabilmente ricco e sentimentale. Ci sono canzoni che riescono a far piangere anche chi
non ne comprenda le parole, perché il suono è giusto, dall'orecchio arriva al cuore». La componente amorosa del rapporto di
Twain con il tedesco senz'altro
alla fine prevalse: sulla lapide dell'amatissima moglie Olivia si legge Gott sei dir gnädig, o meine
Wonne (Che Dio abbia misericordia dite, o mio tesoro).