Recensioni / Leggere Kant tra cielo stellato e legge morale

Chissà se qualcuno degli studenti del liceo scientifico Cattaneo di Torino peri quali Renato Solmi (1927-2015) scrisse le Lezioni su Kant conosceva il passato di quel professore di storia e filosofia così poco omologabile, appena giunto nella loro scuola. Forse aveva intuito dal cognome che era figlio del poeta e critico Sergio Solmi, ma è improbabile che sapesse che era stato un pilastro della casa editrice Einaudi; che aveva seguito i corsi di Theodor W. Adorno all'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte; e che aveva tradotto in italiano, oltre ai Minima moralia di quest'ultimo, l'influente raccolta di saggi di Walter Benjamin Angelus Novus. Di certo si sarebbe presto accorto di avere di fronte un insegnante dotato di una mente speculativa non comune e animato da una vocazione didattica intensa e militante: due qualità distintamente percepibili in queste dispense liceali, col tempo divenute più adatte a un pubblico universitario.
Nelle ultime pagine del libro Solmi definisce le sue lezioni un'«esposizione sommaria del pensiero kantiano», ma, oltre che peccare di modestia, non rende giustizia al proprio lavoro: un'analisi completa e puntuale - condotta sui testi originali - delle tre opere maggiori del filosofo di Königsberg, la Critica della ragion pura (1781), la Critica della ragion pratica (1788) e la Critica del giudizio (1790). Quest'analisi, per giunta, è continuamente arricchita da digressioni volte a collocare la teoria della conoscenza di Kant all'interno della storia del pensiero filosofico e scientifico: dai predecessori (nell'ambito dell'etica) Le ibniz e Wolff ai successori (nell'ambito dell'estetica) Bergson e Croce, passando per Charles Darwin, in cui Solmi riconosce quel «Newton dei fili d'erba» che secondo l'autore della Critica del giudizio non sarebbe mai potuto nascere dal grembo d'una donna («Non ci sarà mai un Newton... capace di riuscire nell'impresa di spiegare anche solo la foi inazione del più semplice filo d'erba con l'azione di cause universali e invariabili come quelle che permettono di spiegare... il movimento dei corpi inanimati nello spazio terrestre o extraterrestre»).
Un'altra caratteristica di questa minuziosa introduzione alle tre Critiche è l'idea - apparentemente scontata nell'opinione generale, ma tutt'altro che acquisita nella didattica della filosofia - che il pensiero di Kant non può prescindere dalla sua biografia. Sin dalle prime righe, per esempio, Solmi ci ricorda che esso è passato attraverso tre fasi successive - dogmatica, scettica e critica - coincidenti con momenti distinti della vita professionale del filosofo.
E analogamente sottolinea come il «cielo stellato» contrapposto alla «legge morale» in un celebre passo della Critica della ragion pratica rappresenti non un oggetto di contemplazione generica, ma una realtà già studiata a fondo nella Storia universale della natura e teoria del cielo (1755). Nel sistema conchiuso e perfetto della Critica della ragion pura, d'altra parte, Solmi sente pulsare quelle tensioni e istanze rivoluzionarie, condivise e appoggiate da Kant, che di lì a poco avrebbero infiammato la Francia e l'Europa.
Le pagine più belle di queste lezioni solmiane sono appunto quelle dedicate all'«umanità» di Kant, ossia alle incrinature o alle oscillazioni del suo pensiero; come quando parla dello «scandalo» in cui la ragione cade ogni qual volta prova a confrontarsi con l'idea di mondo, o quando rivendica l'«esigenza» della metafisica nonostante l'insostenibilità teore - tica di quest'ultima. Secondo Solmi è proprio in queste apparenti incoerenze che si possono scorgere «non i segni di una mancanza di coraggio odi una tendenza biasimevole al compromesso, che sono state sempre del tutto estranee al carattere di Kant, ma piuttosto le prove della straordinaria delicatezza dell'animo del filosofo». Anche per questo sorprende non trovare, nel corso della trattazione, almeno un riferimento all'opera di Kant più partecipe del suo tempo - Perla pace perpetua -, scritta all'indomani del trattato di Basilea tra Prussia e Francia (1795), tanto più che dalla seconda metà degli anni Cinquanta Solmi aveva cominciato a interessarsi ai temi della diplomazia internazionale e del disarmo nucleare. Ma è anche vero che all'astratto pacifismo dei filosofi egli preferì sempre quello più concreto e graduale dei militanti non-violenti, secondo i quali anche i codici e i trattati bellici, in quanto «regolamenti», potevano contenere un seme antimilitarista. A tal proposito, giace in un cassetto, in attesa che un editore la pubblichi, una traduzione annotata di Solmi di Della guerra di Carl von Clausewitz.