Per unire gli italiani, divisi e dominati, flagellati da fanatismi e
campanilismi di ogni genere,
ubriachi di un passato glorioso
e ingombrante, la Chiesa cattolica, a partire dal Cinquecento, ha esercitato un potere sospettoso, pronto a vedere ovunque nemici e traditori, gli eretici.
L'accademico dei Lincei Adriano Prosperi, una delle voci più autorevoli del dibattito storico, nel libro Eresie (Quodlibet)
volge lo sguardo a quel mondo sfumato e
avvolgente, a chi, deliberatamente o inconsapevolmente, finiva per non allinearsi all'ortodossia. Così, seguendo queste
trame, tornano alla mente nomi dimenticati, riprendono foirua, nella loro integrità, trascurati percorsi di vita e di pensiero (uno su tutti, quello di Girolamo Savonarola) e si scoprono quindi destini finora ignorati: in comùne tutti hanno
avuto a che fare con l'eresia, che sia stata
una scelta o l'accusa rivolta loro.
Paura, eresia e libertà hanno camminato mano nella mano per lunghi sentieri della storia. In particolar modo, il cristianesimo è costellato da momenti in
cui, agitando la paura dell'eretico, che
avrebbe potuto far vacillare e crollare il
sistema, si sono imbracciate le armi e si
sono aperti i tribunali. Dall'altra parte,
l'eretico, che spesso non si ritiene tale e
invoca libertà. Quella libertà di interpretare la parola divina consentita da Paolo
di Tarso, perché l'eresia è necessaria. Con
Lutero e con i riformatori, la sfida si ramifica e le chiese (non solo quella di Roma)
perfezionano la strategia per sconfiggere
la peste dell'eresia. Trovato e processato
l'eretico che non vuole tornare nell'ortodossia, si accendono i roghi nelle piazze
(tranne a Venezia, dove si preferiva comminare la pena capitale in modi meno teatrali) per ribadire la dritta via della salvezza. Per sfuggire alla persecuzione, per
non immolarsi come martiri, molti si trovano di fronte al bivio: fuga ed esilio o obbedienza al potere, nascondendo poi il
dissenso nel proprio intimo. Ma questa
soluzione di nicodemismo sarebbe stata
scoperta dalle autorità e perseguita. Persino i riformatori, soprattutto Calvino,
condannano la possibilità e legittimità di
nascondere le proprie convinzioni. Il fedele deve essere tanto coraggioso da non
temere la persecuzione e affrontare, se
necessario, il martirio. E alcuni finiscono
tra le fiamme, mentre tanti decidono di
rimanere, di non abbandonare famiglie,
case e ricchezze: di questi sappiamo poco, perché cercarono di coprire le tracce.
Tuttavia, le conseguenze sul sentimento
religioso dell'imposizione violenta di
un'interpretazione del messaggio cristiano sono tangibili ancor oggi.
La scure minacciosa dell'azione inquisitoriale provoca opportunismi e conformismi, autocensure e adulazioni. E innerva potentemente la sfiducia nelle istituzioni per procedimenti considerati arbitrari. E cadono nel vuoto o quasi gli
appelli alla riforma e contro gli abusi, sostenuti anche da tanti cattolici. Dall'altra
parte, quelli che fuggono e che non si riconoscono in nessuna chiesa mettono le
basi perché con il tempo la tolleranza si
trasformi in libertà di coscienza e poi in
libertà religiosa.
Nell'irrequieto Cinquecento italiano,
esplorato da Prosperi, c'è Antonio Musa
Brasavola, medico alla corte di Ferrara e
poi del Papa Paolo III, autore di una Vita
di Cristo, composta negli anni Quaranta
del Cinquecento, in cui indica il modello
esemplare di Gesù da imitare e non lesina accuse al clero: «Non cercano altro li
religiosi de' nostri dì se non avere, tirare,
rubare». Affermazioni che avrebbero potuta aprire la porta all'accesa di eresia, visto che sembravano sposare le tesi di Lutero: l'autore se ne salva perché scrive prima della svolta intransigente e perché
sottopone l'opera all'approvazione ecclesiastica.
L'eresia si diffonde e si nasconde: bisogna scovarla e sconfiggerla nei vari linguaggi in cui si traduce, come nell'arte.
Le immagini aiutano a spiegare la dottrina ai semplici, ma possono corrompere.
Della questione, stabilendo un nuovo
rapporto Ira rappresentazione artistica e
predicazione religiosa, discorrono la poetessa Vittoria Colonna, il predicatore
Bernardino Ochino e Michelangelo in un
testo incentrato sulla passione di Cristo e
sugli effetti della sua contemplazione:
occasione che Prosperi sfrutta per evidenziare la diffusione delle istanze dei riformatori, spesso adattate e rigenerate
dalla cultura italiana.
In questi itinerari talvolta polizieschi,
si incontra la nobildonna Lucrezia Gonzaga: sospettata di eresia, afferma di non
aver mai parlato di quelle cose di cui la si
accusa. Si badi bene. Gonzaga non dichiara di non aver mai pensato, si limita a
ribadire di non aver mai detto... Il confine
tra ;lecito e proibito è così sottile che si
corrono rischi inconsapevolmente.
Eresie ed eretici incuriosiscono Prosperi, come pure i loro interpreti, in particolare alcuni studiosi: il controverso
Delio Cantimori, maestro suo e di un'intera generazione, causticamente capace,
tra l'altro, di definire il cristianesimo degli italiani come pura frequenza delle cerimonie ecclesiastiche, e Roland Bainton,
attento studioso americano della libertà
di coscienza, pacifista contrario alla
guerra in Vietnam, per rendere evidente
un filo conduttore di analisi politica che
dalla storia si proietta nel presente.
In queste pagine (trentasette saggi, di
cui due inediti), si respira un interrogativo che attraversa l'intera opera dell'autore, il rapporto degli italiani con la fede. Di
fronte a una Chiesa in difficoltà tra il suo
passato pesante, un presente che arranca
e un futuro incerto, da cattolico Prosperi
si è posto domande che poi hanno orientato l'indagine storica: cominciando, negli anni Sessanta, da Gian Matteo Giberti,
un vescovo della prima metà del XVI secolo, che si proponeva di avviare la riforma nella sua diocesi, eliminando gli abusi, per giungere a tanti studi (da quelli
sull'Inquisizione ai più recenti sulla perdita della memoria storica) che, visti insieme, sono tasselli di un mosaico che si
compone con scrupolo e passione. Si avverte un ripensamento di alcuni aspetti,
spia di un incessante confronto critico.
Leggere il libro di Prosperi ricuce e restaura una vecchia foto di famiglia, quella
degli italiani, nel ricordare i nomi e il
pensiero di quelli che al momento furono sconfitti, gli eretici, ma che forse —
piace crederlo — alla distanza seminarono di più.