Recensioni / Luca Lenzini, Cronotopi novecenteschi

In attesa della pubblicazione dei due commenti agli Strumenti umani (Carrai-Cattaneo) e a Stella variabile (Scaffai), gli studi sereniani si arricchiscono di un prezioso volume, licenziato da uno dei principali interpreti di Vittorio Sereni: attraverso una scrittura agevole, ma non per questo priva dei necessari tecnicismi propri della critica letteraria, Luca L. offre ai suoi lettori una nuova introduzione all’opera del poeta di Luino, tesa a offrire un quadro unitario dell’esperienza letteraria e culturale dello scrittore lombardo. Benché, come ricorda l’A. nella Premessa (pp. 9-11), Verso la trasparenza sia una raccolta di «scritti originati da occasioni diverse e destinati a sedi altrettanto disomogenee (web, riviste accademiche e non, mélange…), nonché disseminati lungo un trentennio» (p. 9), la monografia di L. è un testo macrotestualmente solido, dotato di un paradigma interpretativo (stilistico) e metodologico (storico) facilmente riconoscibile, scevro da ogni forma di critica militante: questi Studi su Sereni sono sì un omaggio, personale, di L. a Sereni (e Fortini), ma appartengono a pieno diritto alla critica letteraria contemporanea. Il certamente beneficiato di un confronto diretto con i più recenti studi su Sereni – e di un impianto strutturale più teorico e comparato –, ma forse sono proprio questi studi che, d’ora in poi, dovranno confrontarsi con l’ultima monografia di L.
Il libro è diviso in sette capitoli e muove dalla «inseparabile, costante attenzione per il paesaggio» (p. 13) che attraversa senza soluzione di continuità l’intera opera di Sereni lungo movimenti ora dinamici, come possono essere considerate le esperienze di Frontiera e del Diario, ora statici, come accade, diversamente, negli Strumenti umani e in Stella variabile. In questo senso, il paesaggio (rappresentato) diventa espressione della temporalità fenomenologica della vita e del tempo storico che occupa l’orizzonte interpretativo dell’io, lirico ed empirico, durante le sempre più celeri, e per certi versi inaspettate, metamorfosi che l’Italia subisce tra gli anni Trenta e Sessanta del Novecento: «quando è avvenuta la svolta, quando in Sereni la “fissità” e lo stallo hanno imposto il loro potere funesto?» (p. 19).
A partire da questo interrogativo inizia la riflessione estetica di L. intorno a Sereni, il cui primo termine di paragone è la tradizione letteraria (Pascoli e dintorni, pp. 21-48): «Se guardiamo alla cerchia dei coetanei di Sereni, di quelli innanzitutto più prossimi a lui per formazione e frequentazioni, ci troviamo di fronte ad una generazione per la quale i rap-porti con l’opera di Pascoli, complessivamente, non sono paragonabili a quelli, più diretti ed intensi, con Montale o Ungaretti» (p. 23). In Sereni, invece, la presenza di Pascoli non si riduce a mera funzione letteraria, una sorta di sostrato sedimentato nella coscienza dei lettori, bensì si tratta di una presenza che forma lo sguardo antropologico di Sereni nei confronti del mondo: «il rapporto io/natura, il rapporto padre/figlio, il tema della divisione, rovescio del nesso ripetizione/continuità, si sviluppa in Sereni all’interno di questo quadro a forte densità simbolica, nel punto d’incontro di biologia e psicologia; luogo si sa, per eccellenza pascoliano» (p. 41). L’A. cita giustamente L’angoscia dell’influenza di Harold Bloom –e in questo caso, data la centralità del tema, l’analisi avrebbe certamente meritato un para-grafo a parte. Tuttavia, sommato abbastanza tradizionali, che Sereni ha dedicato a Pascoli nei suoi scritti, ma anche la natura dei nessi tra l’opera del lombardo ed i testi di Myricae o dei Canti di Castelvecchio, sembrano confer-mare che il dialogo tra i due poeti non si pone sul piano del confronto diretto, bensì su quello delle influenze» (p. 46).
La pluralità di tempi che segue questa prima indagine «è consustanziale a una forma (non episodica) di “crisi” (nel senso etimologico) del soggetto ogni volta da ridiscutere e verificare in progress: come dire che il ritardo, lo sfasamento possono anche diventare una modalità di conoscenza, il mezzo attraverso il quale l’apparenza e l’esperienza, il mondo soggettivo e quello dei destini collettivi, il reale e l’irreale entrano in rapporto tanto problematico quanto fecondo, e così decidono l’instaurarsi di una dialettica che si svolge lungo vaste arcate di tempo» (p. 51): L’incrinatura (pp. 49-87) della poesia di Sereni segue (o insegue?) questa traiettoria epistemologica, questa ricercata sovrapposizione tra tempi lirici e tempi empirici che portano il soggetto a esperire una costante condizione di crisi di cui il testo (poetico) è diretta espressione. L. procede lungo una direzione simile, nella misura in cui non si sofferma su una raccolta, ma si muove nel macrotesto di Sereni recuperando tessere linguistiche, stazioni poetiche, testi significativi, che gli permettono di identificare e codificare questo scarto estetico e epistemologico tra la persona che scrive e il soggetto che dice io: «tutto il lessico che la storia impone al soggetto deve passare al vaglio dell’interiorità, e se vuole acquisire senso, è solo passando da lì che può farlo, ritrovando percorsi smarriti o inconditi, triangolando nel conscio e nell’inconscio e fluttuando tra discorsi diversi, divergenti e anche temporalmente non omologhi, disallineati, per via d’intermittenze e interferenze» (p. 65).
Questa postura incrinata della critica e della scrittura pone le basi interpretative dei due capitoli centrali, e certamente più significativi, della monografia di L.: Dal libro all’opera. Appunti e ipotesi (pp. 89-101) e Field notes. Per un lessico di Sereni (pp. 103-138). Il sesto capitolo (pp. 139-160) è un commento ad alcune tardo di Sereni, riprendendo un discorso critico iniziato da Isella e Mengaldo e che, forse, si è ormai, positivamente, esaurito.
I capitoli centrali, invece, aprono due strade: da un lato, L. lega il problema epistemologico dell’incrinatura temporale – e/o esistenziale, secondo la lezione fenomenologica di Antonio Banfi e relazionale di Enzo Paci? –alla struttura macrotestuale dell’opera di Sereni. Dall’altro, nel lessico L. propone un’indagine ermeneutica della poesia di Sereni che tenga conto delle tessere dotate di un valore fondativo, per non dire ontologico – e dunque non semplicemente linguistico – del mondo: «il campionario non s’intende esaustivo ma è ampio quanto basta a consentire, insieme a molte e puntuali citazioni testuali, la messa a fuoco dei procedimenti atti a realizzare […] a “grammatica” propria della poesia sereniana, che in questo senso essa definisce e distingue» (p. 153).