Recensioni / Carlo Melograni. Modernità etica

L'idea di architettura che ha sempre accompagnato Carlo Melograni, morto a Roma lunedì 1 novembre a 97 anni, può sintetizzarsi in una frase di Edoardo Persico, uno dei protagonisti della cultura razionalista, spentosi giovanissimo nel 1936: "Crediamo che pochissimi architetti italiani abbiano per ideale di cliente il viaggiatore in tram (...): operai, impiegati, povera gente per la quale gli architetti prepareranno le case popolari, gli alloggi minimum, i mobili componibili".
E Progettare per chi va in tram s'intitola un libro di Melograni del 2002 (Bruno Mondadori), poi riedito nel 2020 (Quodlibet).
Docente e progettista È stato questo il cardine della lunga attività di Melograni come architetto, come docente (ha contribuito a fondare le facoltà d'architettura di Ferrara e di Roma 3, di cui è stato preside) e come saggista.
Fra gli altri suoi libri figurano: Architettura italiana sotto il fascismo (Bollati Boringhieri 2008) e Architetture nell'Italia della ricostruzione (Quodlibet 2015).
Nato a Roma nel 1924, laureatosi nel 1950, Melograni apri uno studio con Leonardo Benevolo, Tommaso Giura Longo e Maria Letizia Martines, ed è stato attivissimo nel denunciare gli effetti della speculazione edilizia nella capitale (raccontata dalla celebre inchiesta dell'Espresso del 1956, Capitale corrotta=Nazioneinfetta).
Nel1960 è stato eletto consigliere comunale comunista e con Aldo Natoli e Piero Della Seta ha proseguito le battaglie contro le amministrazioni democristiane che avallavano le pretese dei costruttori e della finanza vaticana.
La passione politica e la tènsione etica si sono riversate nelle scelte di Melograni, a partire dal quartiere Ina-Casa sulla via Tiburtina a Roma (1949- 1954, capigruppo Ludovico Quaroni e Mario Ridolfi).
Anni dopo, riflettendo su quell'intervento, Melograni sosteneva che mentre in Europa i quartieri operai erano pensati come moderni insediamenti urbani, "da noi, anche al Tiburtino, si riprendevano forme simili a quelle dei borghi e dei paesi".
Accanto all'edilizia residenziale pubblica (pur assai severo contro quelli che riteneva interventi poco controllabili come Corviale o le Vele di Scampia), ad allestimenti in aree archeologiche, a sistemazioni in centri storici, Melograni si è dedicato a progettare scuole.
Fra queste, negli anni settanta, la più significativa è il liceo Ariosto di Ferrara, dove è prestata grande cura agli spazi comuni e alle relazioni che lì devono svilupparsi.
"Per essere autenticamente moderna", diceva Melograni, "l'architettura deve comunque concorrere a rendere migliori le condizioni dell'abitare". E per "abitare", Melograni non intendeva solo il risiedere in un confortevole appartamento, ma anche come ci si arriva e alle relazioni con il contesto.

Un modello sociale avanzato
Per lui l'aggettivo "moderno" aveva senso se contrapposto al sostantivo "modernizzazione".
La modernizzazione, aggiungeva, "è agguerrita e aggressiva", ritiene che le trasformazioni sono talmente veloci da rendere impossibile la loro regolamentazione.
Per cui l'architettura sì concentra "su interventi episodici, esageratamente appariscenti e spettacolari, malamente componibili in un disegno urbano".
Il moderno, al contrario, "è portatore di un modello sociale avanzato", e anche le innovazioni tecnologiche servono a rendere "sempre meno disuguali le opportunità e le condizioni di vita". Melograni era assai critico perla piega presa dall'architettura. "Oggi si è smarrita ogni idea sulla città", sí rammaricava, "siamo un paese che non aspira alla modernità, ma all'ultima moda". •