“Desiderio di
stringer vecchie mani / di
rispecchiarsi in
visi un tempo noti / sotto il
grondare di un gelato azzurro / che la campana dello Shrapnell scuote...". Un appunto di desiderio d'affetti nel
freddo piovoso ed allarmato
di una trincea, ma sono tra i
più antichi versi di un inedito
Montale dal fronte in una cartolina del 7 ottobre 1918 che
il sottotenente Montale scrive al commilitone Sergio Solmi. Ora per la prima volta si
leggono in Montale — Solmi,
Ciò che è nostro non ci sarà
tolto mai. Carteggio
1918-1980, a cura di Francesca D'Alessandro (Quodlibet) . Un carteggio monumentale (338 lettere; 237 di Montale e 101 di Solmi) e fondamentale per più aspetti: è uno
dei pochissimi carteggi montaliani in cui sono conservate
le lettere del corrispondente,
come per Svevo e Contini
(Montale era uso stracciare),
ed è segno della grande stima
che Eusebio aveva per il suo
interlocutore.
È il carteggio che spazia per
tutta la vita, anche se sostanzialmente rarefatto nei comuni anni milanesi (dopo il
1948), quando i due amici si
frequentavano abitualmente. E il carteggio che più illumina gli anni genovesi degli
Ossi di seppia, fornendoci
una mappa delle letture, delle riflessioni e degli snodi biografici del primo Montale.
I due ragazzi si trovarono
insieme, nuovi coscritti,
nell'autunno 1917 alla scuola militare di Parma e divennero subito amici, condividendo la passione per la letteratura e i primi tentativi poetici. Solmi per Montale era anche un talento critico di
prim'ordine, come in effetti
mostreranno negli anni i suoi
bellissimi libri di saggi su scrittori francesi e italiani. Così a
Solmi (prima a Torino, poi a
Milano) Montale manda da
Genova le sue primizie, che
qui compaiono in stesure finora inedite come Incontro, la
poesia ambientata alla foce
del Bisagno, che appunto in
questa stesura inviata all'amico il 17 agosto 1926 s'intitola
topograficamente La foce.
Di grande rilievo la lettera
del 15 aprile 1922 in cui Montale esplicita la sua formazione filosofica: "continuo a star
fuori delle classificazioni, delle scuole, delle fedi. Non sono, per esempio, punto ‘idealista’. L'opera del Gentile,
che conosco alquanto, mi ha
sedotto per due settimane,
tutt'al più. I suoi seguaci poi
mi fanno ridere a crepapelle.
In filosofia non ho superato le
posizioni dei contingentisti
francesi. Del resto anche se accettassi le idee ora di moda,
non saprei vedere in questo
fieri della vita che un magro
Relativo, e non già il letificante Assoluto di cui tanto si parla".
La refrattarietà al tuffo negli assoluti, così spiccati in
quel tempo, per il giovane genovese ha anche un versante
di incertezza esistenziale in
cui può rispecchiarsi l'amico,
come si legge nella lettera da
Genovade116-7-1923: "In sostanza continuo a camminare
in filo di rasoio: né letterato
né uomo pratico. Non pensare a una posa da parte mia.
Non posso entrare in realtà in
nessuna di queste due categorie di brave persone. Dev'essere anche il tuo caso, caro Sergio! Borghese tra gli artisti, artista fra i borghesi — ateo frammezzo ai mistici, mistico tra
gli uomini "positivi" — freddo
trai sentimentali, ma tutto lattemiele fra gli apostoli della
ragion ragionante." Ed ancora dopo l'apprezzamento degli Ossi di seppia persiste
un sincero dubbio sul valore
ed il senso stesso della poesia: "Quanto alla poesia in cui
riconoscermi... credo di nutrire, sotto sotto, un certo qual
disprezzo per tutti i suoi inganni. Certo continuerò, se vivrò, a occuparmene; ma sento che ormai il mio interesse
va quasi solo al meccanismo
secreto della creazione: i risultati umani mi sembrano dei
«trompe-l'oeil». Si soffre, nella vita, più ancora di quanto si
possa esprimere in poesie piene di cicuta; ma è un'altra sofferenza, ignobile e affatto pittoresca..." (Monterosso 16
settembre '26). E qui cogliamo nettamente la singolarità
e la grandezza di Montale, diffidente anche verso la sua
stessa arte, poeta-critico come pochi nel '900 e come tale
fondamentale maestro di modernità, scaduto il tempo sia
del Vate sia dei militanti a
tempo pieno dell'arte.
Sono anni cruciali e drammatici per il paese; l'avvento
del fascismo, il delitto Matteotti, il regime. Nel carteggio non vi sono cenni significativi, come mancano riferimenti all'altro mondo montaliano, quello del melodramma. Urge per entrambi una sistemazione lavorativa, argomento ricorrente, ed apprendiamo della fondamentale
mediazione di Montale per
l'assunzione del giovane avvocato Solmi alla Banca commerciale di Milano, grazie ai
buoni uffici del cognato Vignolo, alto funzionario di
quella banca. Non mancano
in queste lettere giudizi e profili di coevi scrittori e dominano le notizie e gli scambi sulle
riviste letterarie, segni di una
società letteraria assai vivace
(a fronte del blocco politico)
a cui entrambi partecipano attivamente. Ed il carteggio è in
tale ambito prezioso per identificare scritti di entrambi
non firmati o firmati con pseudonimo (qui riprodotti in appendice); tra questi spicca un
tombeau di Gobetti da parte
di Montale (su I1 Quindicinale, 1 marzo 1926): "questo
fanciullo-uomo faceva legittima l'attesa benevola che si
era avviata intorno a lui per la
sua saldezza alla lotta e alla fatica e per la sua rettitudine di
vita e di pensiero", parole certo non da poco nel tempo del
regime che quella vita aveva
stroncato.