Recensioni / Da Calvino a Rilke il fior fiore di prosa e versi

Conosciamo il "pollice verde", ma "l'occhio verde" ci è poco familiare. Eppure molti letterati, poeti e romanzieri lo hanno avuto e qualcuno ancora lo mette nero su bianco. Il nuovo libro di Angela Borghesi, per i tipi Quodlibet (la casa editrice che ci ha edotto meglio di altri sulla straordinaria bravura di Gilles Clément) si intitola Fior da fiore. Ritratti di essenze vegetali (pp. 311, euro 22, illustrazioni di Giovanna Duri) e riunisce sessanta piante descritte da poeti e prosatori di culture e epoche diverse.
Lo stesso giardino o terrario che vediamo fiorire, i viali delle città che attraversiamo, racchiudono tesori letterari. «Aprile è il mese più crudele, genera/ lillà da terra morta, confondendo/ memoria e desiderio, risvegliando/le radici sopite con la pioggia della primavera» scriveva Eliot nell'esordio di The waste land. Dall'Acer japonicum o acero giapponese alla Wisteria sinensis o glicine, passando perla Primula veris o primula odorosa («le primule pallidine sempre nubili» di Shakespeare); dalla Rosa mutabilis chinensis, che cambia colore durante la fioritura («Nessuno è mai riuscito a dire/ cos'è, nella sua essenza, una rosa», Giorgio Caproni), sono tutte vecchie, care conoscenze a cui dedichiamo potature, concimazioni, travasi, ma a cui non sapremmo attribuire le parole dei grandi scrittori. «Le foglie degli aceri a novembre diventano d'un rosso scarlatto che è la nota dominante del paesaggio autunnale giapponese... se l'occhio viene calamitato è per la leggerezza delle foglie stellate, come sospese attorno ai rami sottili, tutte orizzontali, senza spessore, tese a espandersi e insieme a non ingombrare la trasparenza dell'aria». Cosi scrive Italo Calvino. E Rainer Maria Rilke sull'ortensia rosa si chiede «chi immaginò quel rosa? Chi seppe anche/ che in questi globi era raccolto?». Sono lo stesso acero, la stessa ortensia che conosciamo, ma vestite a festa da parole d'incanto.