Recensioni / Il mito di Ulisse come depistaggio: la passione amorosa e l'eros per Saba

Negli ultimi dieci giorni dell'aprile 1946 Umberto Saba scrive e corregge Ulisse, poesia di tredici versi preposta a chiudere la silloge Mediterranee, poi edita da Mondadori nel dicembre dello stesso anno. Che ruolo ha la lirica nell'arioso progetto del Canzoniere (la raccolta sarà acclusa sin dal '48 nel corpus ampliato)? Molto nota, molto commentata e inserita - sebbene a latere - nei manuali scolastici, secondo Carlo Londero Ulisse è stata sostanzialmente relegata dalla critica nell'ambito di un circoscritto riuso («del mito omerico che conduce Saba ancorché vecchio arispecchiarsi nell'Odisseo avventuroso amante dei rischie delle sfide») o nella nuda assunzione di un modello (il canto XXVI dell'Inferno, «e allora Saba sarebbe animato da inquietudini esistenziali o da un'intima ricerca del sé»). Ulisse, o dell'Amore (Quodlibet «Studio», pp. 128, € 18,00) conta di portare una ventata di freschezza, di «non domato spirito», nella storia testuale ed ermeneutica di questo brano, dove sembra troneggiare, in realtà, senza rivali il «doloroso amore» stricto sensu.
«Credo che Ulisse - scrive Londero nella premessa - non parli semplicemente di Odisseo né voglia tracciare un elementare parallelismo. Il lavoro di analisi che propongo vorrebbe ambire a scostare Ulisse dalle precedenti letture parziali e sostenute da poche supposizioni contenutistiche, affioranti sulla superficie della costruzione poetica insondata nelle sue profondità». La prima parte dello studio si occupa di tracciare una rigorosa trafila variantistica e un sunto delle acquisizioni interpretative. A tal proposito Londero si sofferma sulla differenza, a suo giudizio centrale per comprendere l'opera di Saba, tra soggetto lirico ed esistenza quotidiana: la letteratura «non è cronaca, ma elaborazione formale di adempimenti di una tradizione e di scostamenti da essa». Più che vivisezionare i minuti elementi della biografia à la Sainte-Beuve, è necessario un affondo esegetico dentro le quinte di quell'anti-o altro-novecentismo di cui il poeta triestino è stato il campione. Dall'io empirico si passa così all'io trascendentale.
Ma cosa rimane di Ulisse? Innanzitutto, il mito diventa funzionale a un tema ben più gravido di conseguenze: l'eros sviato sagacemente da un vero e proprio «depistaggio» con la correzione dell'originario v. 13: «e della donna il doloroso amore» («della vita» nella redazione finale). Saba cela agli occhi del lettore la navigatio vitae - che l'autore del saggio trae dal pensiero di Remo Bodei - nella sua declinazione sensuale. Vola il richiamo al componimento 80 dei Rerum vulgarium fragmenta. Chi è fermato di menar sua vita, in un pertinace petrarchismo che non esaurisce il sabiano «giovenile errore». Metricamente Ulisse potrebbe infatti rievocare lo schema della sestina, con due pseudo-stanze e uno pseudo-congedo, ma anche un sonetto «non realizzato», dal finale aperto, «privo di compimento». «Ciò che perennemente risospinge al largo la barca-io - conclude Londero con inappuntabilità sillogistica - è la passione amorosa del "doloroso amore della vita": "doloroso" perché mai "domato", appagato o mai compiutamente condotto in porto».