È un bellissimo esordio
quello di Tiziano Bisi
in Dalla via Emilia a
San Pietroburgo. Come immediatamente chiarito dal titolo, si tratta di una
narrazione di viaggio. Un
lungo viaggio che parte da
Bologna, passa per Vienna,
Varsavia e Riga, arriva a San
Pietroburgo. A San Pietroburgo Tiziano sosterà per
molto tempo. Ma il viaggio
non si riduce a questi duemila e passa chilometri, ad essi
ne vanno sommati altri milleduecento necessari a raggiungere Murmansk «Nel
nord più all'estremo. "Fin
dentro i sottomarini termonucleari all'ancora nel Mare
di Barents", io vado ripetendomelo da mesi. "Avanti, fino alla fine del mondo!"».
Come vediamo c'è una certa
furia, una furia di spostamento che muove l'autore.
Tiziano è partito per un sacco di ragioni che lo tormentavano, forse non tutte buone.
È partito perché la vita è un inganno, è partito per uscire da
un mondo in gabbia, per
smetterla di appartenere a
una società che è un vampiro. Per sfuggire a un lavoro e
a una nazione. «Ci provò Mattia Pascal, ci riuscì Ettore Maiorana. Devo partire perché
la vita è una ferita logora che
non si ricuce. Lunga uno
schiocco di dita va in fumo
svelta come quei mozziconi
di cera che le vegliarde accendono a raffica nelle sacrestie.
Devo partire perché io adoro
la libertà. Devo partire perché io ne ho abbastanza di rigirarmi nella merda fin qui!».
Un bel momento questa idea
gli si è piantata nella testa, è
diventata una fissa, una frenesia mentale. La fuga dall'animal laborans, per non essere «tumulati come scimpanzé in una banca, una fabbrica, un ufficio postale, una
scuola pubblica», per non finire a produrre «neonati di nome Brando. Intanto, gli anni
se ne vanno veloci e centuplicano i rimpianti. Mica si sale
nella vita, si scende».
Tiziano non vuol fare la fine dei suoi amici che hanno
come unico orizzonte il calcio e la birra che li droga, «che
hanno gettato via il loro tempo, ossia decenni della loro vita, giocando a pinnacolo in
uno stato di ubriachezza, in
quella scala C, in quella saletta condominiale al pianterreno di quel condominio di via
Genova a Bologna». Lui il suo
viaggio cerca di spiegarlo agli
amici, con una cartina
dell'Europa dell'Est in mano:
«"Voglio mischiarmi tra le
genti di città sperdute. Voglio
ascoltare quelle loro sillabe
mai udite prima. Voglio respirare il profumo dell'alba che
sa di benzina in solitarie stazioni di servizio della Lettonia" gli dico io. "Tu sei pazzo"» gli rispondono loro. Basta. «Il tempo degli amici è finito. Adieu!».
Ma viaggiare per bene richiede un metodo perché a
San Pietroburgo Tiziano vuole arrivarci veramente, non
vuole esserci teletrasportato
da un volo aereo in classe economica, vuole vedere che cosa passa fuori dai finestrini e
non saranno certo le cime delle Dolomiti. Quello che gli importa non è che cosa vedrà,
ma che sarà lui a vederlo. «Colori che prima non esistevano. Strade desolate. Stazioni
di servizio buie nel buio della
notte. Carrette abbandonate
sulla via. Insegne di marche
di birra misconosciute. Caravanserragli». Vedere cosa c'è
a Varsavia. Per questo bisogna riempire lo zaino di vestiti, libri e cose come se uno dovesse partire per sempre, e come se non dovesse più tornare, lasciando agli uomini miseri le loro comunità virtuali.
Tiziano se ne va «randagio
per la terra a cazzeggiare».
Quindi adesso che cosa bisogna fare al più presto? 1) comprare un giubbotto adatto
per le notti nordiche. «Tiene
fino a meno trenta» gli dice la
signora del negozio. 2) staccare la luce, 3) chiudere la
porta di casa, 4) girare per tre
volte la chiave nella serratura
e sprangare il catenaccio
esterno. Appena uscito l'anziana dama che sta due case
più gli chiede: «dove vai?»,
«A San Pietroburgo» risponde Tiziano. «Fai attenzione alle zanzare di San Pietro paiono vitelli e pungono cattive",
mi grida dietro lei prima che
io giri l'angolo e di me non ci
sia più traccia». Adesso bisognerà raggiungere l'autostazione delle corriere di Bologna, che ha un odore che fa
pensare a una moquette impolverata e attendere un bus
di una sottomarca polacca Almabus. «Vai a Polonia?» gli
chiede una signora stupita
che un italiano salga su quella corriera. Gli altri viaggiatori sono tutte badanti. Comunque si parte.
Adesso seguiranno strade,
foreste, città, incontri. Seguiranno gli anni a San Pietroburgo con locali notturni, lavori, lingue, incontri con ragazze russe e ragazze di altre
etnie, rapporti commerciali
con italiani, rapporti commerciali con russi, incarichi
all'università, altri bus, altri
treni, pensionati che fanno i
tassisti abusivi, un agente del
vecchio KGB, robuste donne
capotreno e capovagone, fughe se possibile dagli altri italiani in Russia, qualche ceceno. Edifici, parchi, orari, luoghi di grandi massacri storici
così frequenti in quelle terre
dove la Storia ha lavorato in
grande, e così via. Ucraina,
Kiev. Ungheria, Budapest.
«Per me viaggiare è un atto sacrale. Mistico. È uno
stancare il corpo. Uno sfiancare i muscoli. Un disintegrare la mente. In cambio se ne
può avere una rinascita. In
cambio tu puoi diventare
quasi un altro. Un trasformato. Un nuovo Tiziano. Questo io cerco dal viaggiare,
nient'altro che questo, fare
un balzo dentro di me. Diventare un nuovo me stesso,
risuscitare prima di crepare!». E così, passando il tempo, ecco che tutti questi incontri e avventure cambieranno Tiziano, la sua furia
pian piano si consumerà, e un
bel giorno lui salirà su un'altra corriera. Questa volta
con direzione Bologna.