Recensioni / “La tradizione filosofica italiana. Quattro paradigmi interpretativi” di Corrado Claverini

Dott. Corrado Claverini, Lei è autore del libro La tradizione filosofica italiana. Quattro paradigmi interpretativi edito da Quodlibet: qual è lo stato di salute della filosofia italiana?
Il pensiero italiano sta riscuotendo un notevole successo in tutto il mondo. A testimoniarlo è il numero sempre crescente di pubblicazioni e convegni che si interrogano sull’originalità e l’attualità della nostra tradizione filosofica. Tale successo non riguarda soltanto i classici e, in particolare, i tre autori più tradotti in assoluto – Dante, Machiavelli e Gramsci –, ma anche gli esponenti di uno dei vettori di pensiero più fecondi dell’odierno panorama intellettuale: l’Italian Thought . Nato in Nord America, esso si è poi diffuso globalmente – dalla Francia alla Germania, dall’America Latina al Giappone. Di tutto ciò spesso noi non siamo consapevoli, ma è chiaro ormai che non siamo più una provincia filosofica. Non a caso, sarà proprio l’Italia a ospitare il prossimo Congresso Mondiale di Filosofia, che si svolgerà a Roma nel 2024. Per la quarta volta nella storia, questo importante appuntamento si terrà nel nostro Paese, segno tangibile del riconoscimento internazionale di cui gode la comunità filosofica italiana nel mondo.

Cosa rende il pensiero italiano così apprezzato e studiato all’estero?
La rilevanza internazionale della filosofia italiana è legata all’odierno bisogno di concretezza e di realtà. Oggi più che mai si percepisce l’esigenza di un pensiero che si collochi a debita distanza dai tipici astrattismi concettuali di certe filosofie che non hanno alcun nesso con la vita storica e politica. La nostra tradizione – che è stata sempre una “filosofia della ragione impura” (Bodei), un “pensiero vivente” (Esposito), una “scienza dell’uomo e delle sue attività” (Garin) – risponde pienamente a tale necessità. Ma una filosofia critica dei saperi e dei poteri non può che scontrarsi drammaticamente con il potere costituito. Non a caso, la nostra storia – da Dante e Machiavelli, a Galilei e Campanella, fino a Bruno e Vanini – è costellata di persecuzioni, torture, carceri, roghi. Questa tendenza culmina, nel Novecento, con le tragiche morti, in difesa del proprio pensiero, di Gramsci e Gentile.

Cosa accomuna i protagonisti della filosofia italiana?
Senza pretendere di ridurre l’intera tradizione filosofica italiana ad un’unica caratteristica, è possibile individuare indirizzi prevalenti, tematiche costanti e linee di continuità che rendono unico e inconfondibile il nostro patrimonio di pensiero. Quella italiana è stata più una filosofia della resistenza che del potere costituito, una tradizione a costante vocazione civile, un pensiero attento alla dimensione della vita, della politica e della storia. Da Gioacchino da Fiore a Vico, fino al neoidealismo e al marxismo italiano, l’attenzione per il piano storico è predominante. Ma non solo. Si pensi all’Umanesimo civile e ai nostri illuministi, a Machiavelli e a Campanella: non vi è filosofo italiano che non si interessi al mondo della vita storica e politica. Oggi questo grande patrimonio di pensiero è rielaborato, in modo originale, dagli esponenti dell’Italian Thought e, in una prospettiva differente, dai fautori della filosofia civile che – attraverso Bobbio e Garin – si riallacciano alla tradizione ottocentesca di Romagnosi e Cattaneo.

È possibile ripensare tale tradizione in modo non descrittivo-ricostruttivo?
Non solo è possibile, ma è auspicabile. Ed è ciò che ha fatto – fra gli altri – Bertrando Spaventa in piena epoca risorgimentale. Nel rivolgersi alla tradizione filosofica italiana, egli intendeva mostrare – per dirla con le sue parole – «che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa dobbiamo essere». La posta in gioco era più alta della semplice ricostruzione del nostro passato. Si trattava di dare vita a «un’Italia che duri», «un’Italia storica: un’Italia che abbia il suo degno posto nella vita comune delle moderne nazioni». L’Italia, per Spaventa, era molto più di una semplice espressione geografica. Era la patria d’origine della filosofia europea. Nella prospettiva spaventiana, infatti, Campanella e Bruno sarebbero i precursori di Cartesio e Spinoza, mentre Vico avrebbe anticipato non soltanto Kant, ma persino Hegel. Anche Gentile – adottando la medesima impostazione – ripensò la tradizione filosofica italiana in una chiave speculativa. Come egli stesso scrive, la tradizione «non è un passato ancorché glorioso ma tramontato, bensì un vivo presente, operante nell’attualità dello spirito consapevole di sé, della sua forza, del suo destino. Non musei, ma sentimenti, forze animatrici che premono da dentro sul pensiero e sulla volontà». Garin, dal canto suo, ha avuto il merito di dare voce ad autori emarginati o poco studiati, restituendo alla nostra tradizione il suo carattere plurale e policromatico. Oggi l’Italian Thought riassume in sé tutti questi elementi ed è chiamato all’arduo compito di rispondere alle complesse sfide della contemporaneità. Ancora una volta: senza rigettare la tradizione, ma rielaborandola filosoficamente.

In che modo alcuni dei principali interpreti del pensiero italiano – da Spaventa a Gentile fino a Garin ed Esposito – si rivolgono al patrimonio filosofico precedente individuando le caratteristiche distintive della tradizione nazionale?
Come detto, ciò che accumuna Spaventa, Gentile, Garin ed Esposito, pur nella radicale differenza delle loro proposte interpretative, è il rivolgersi alla tradizione nazionale, evitando un approccio “museale” volto alla mera conservazione di un glorioso passato. Al contrario, essi adottano una prospettiva tesa a ripensare il patrimonio filosofico che ci precede, rivitalizzandolo e rendendolo operativo nell’attualità. Ma non essendo, quella italiana, una tradizione monolitica e unitaria, non sempre ne vengono valorizzate le medesime correnti di pensiero. Si pensi a Rosmini e Gioberti. La loro filosofia gioca un ruolo di prima importanza nei sistemi speculativi di Spaventa e Gentile. Al contrario, per Garin, come egli stesso scrive polemicamente, «una storia della cultura filosofica italiana dell’Ottocento meno fedele a una visione tradizionale della filosofia, più attenta a sollecitazioni e a fermenti rimasti quasi senza eco, almeno fra i contemporanei, anche se validi nel tempo, riserverà molto minor posto ai Rosmini e ai Gioberti nei confronti dei Romagnosi e dei Cattaneo». Come si vede, non tutti sono concordi sul nome degli autori da “pantheonizzare”. Un suggerimento utile in tale direzione, valido allora come oggi, lo dà Benedetto Croce, quando – rivolgendosi a quanti, nel ripensare la tradizione italiana, si ricollegavano a Spaventa e, magari, a Gioberti e Rosmini – afferma che il tempio filosofico «è il Pantheon, e non una chiesa di Sant’Ambrogio o di San Gennaro». Oggi questo significa ripensare la filosofia italiana non soltanto nelle sue relazioni con la filosofia europea, ma in una prospettiva globale. Anche in questo senso, l’Italian Thought – nel suo incessante dialogo con le altre culture filosofiche, da quella nordamericana, a quella latinoamericana, fino a quella giapponese – è uno dei vettori speculativi più fecondi nell’attuale panorama intellettuale.

Quale nuovo paradigma interpretativo offre l’ Italian Thought ?
L’ Italian Thought è un modo, squisitamente teoretico, di ripensare la tradizione filosofica italiana nell’odierna epoca della globalizzazione. Nato in Nord America e diffusosi in tutto il mondo grazie alla traduzione, in molteplici lingue, delle opere di Roberto Esposito, Toni Negri, Giorgio Agamben, Paolo Virno, Mario Tronti e Gianni Vattimo, l’Italian Thought – anche conosciuto col nome di Italian Theory – risponde al bisogno, oggi più che mai impellente, di nuove categorie in grado di far fronte alle sfide del mondo contemporaneo. Tali categorie non vengono create ex nihilo, ma in dialogo costante con la tradizione che ci precede. Dal mondo latino, ad esempio, Negri ricava, rielaborandola, la categoria di Impero. Allo stesso modo, le considerazioni di Esposito su immunitas e communitas hanno origine da una riflessione sul significato etimologico del termine latino munus . In sintesi, il dialogo diacronico con la tradizione e quello sincronico con le culture filosofiche di tutto il mondo sono alcuni degli elementi più caratteristici di ciò che è stato definito Italian Thought .

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