Recensioni / Sragionamenti emiliani

Ognuno dei diciotto pezzi che compongono “Sulle tristezze e i ragionamenti”, l’ultimo libro di Ugo Cornia (pp.128, € 12,00) pubblicato da Quodlibet in una nuova collana, “Compagnia Extra”, curata da Jean Talon e Ermanno Cavazzoni, sembra intento a declinare, chi più chi meno, il titolo stesso.
E’ infatti intorno alla questione della tristezza e al suo rapporto di fiducia e dipendenza  con il pensiero, soprattutto con il pensiero creativo, che girano questi brevi lacerti, queste parti o frattaglie assolutamente disorganiche che sono come piccoli saggi della geografia culturale ed umana dell’autore. I brani partono spesso da aneddoti banali o più propriamente autobiografici – una gita al centro commerciale, l’incontro con un cinghiale addomesticato – per poi perdersi nelle volute, nelle acrobazie della riflessione, aiutati da inversioni sintattiche e ripetizioni, dall’uso del parlato e di residui dialettali.

Questi racconti sono come delle piccole nugae, delle bazzecole composte da un io che prende spunto da un evento e lo fa delirare, spingendolo fino al parossismo, che circumnaviga i propri territori, con una propensione per certi elementi periferici non solamente mentale. Come non sembra voler uscire dai propri ragionamenti, Cornia non oltrepassa mai i suoi luoghi natii, muovendosi lungo la via Emilia, inotnro alle frazioni di Modena e Ferrara, comunque non oltre la pedemontana, e riferendosi sempre a una comunità di parlanti locali.

Nei sui primi quattro libri - Sulla felicità a oltranza, Quasi amore, Roma e Pratiche del disgusto – tutti usciti per Sellerio, questo allievo di Cavazzoni e Celati (classe 1965) ha voluto tracciare i punti chiave dell’esistenza, affrontando di pari passo il tema della Morte, dell’Amore, del Lavoro, dell’Amicizia, sempre mediante una vena satirica a surreale, o come agli esponenti del filone emiliano piace definirla, del parlare stralunato, in grado di delegittimare la parola alta, letteraria, contrapponendogli una comicità leggera e un po’ ingenua.

Con Sulle tristezze e i ragionamenti il discorso di Cornia – tranne quando esula dal monologo interiore passando alla terza persona e finendo con l’apparire poco credibile – percorre, legandole tra loro, figure e immagini dell’endiadi tristezza/allegria: là dove la prima, col suo essere soggetta a incontri casuali e a cambiamenti continui, è qualcosa di molto ricco, come un varco in cui si può rivelare il pensiero, e dunque dar vita alla seconda.

Ciascun sragionamento conserva un fondo di malinconia, riflesso su uno specchio autenticamente emiliano, e più che pesare come un macigno, la tristezza vive in stretta relazione con l’allegria – chiaro è qui il tentativo di allegorizzare queste due facce “perfettamente incollabili”, come dice Cornia. E’ dunque nell’andamento digressivo, nei deliri sbalestrati e manganelliani che è possibile per Cornia la presa diretta con un io insolito e singolare, resistente, la registrazione di una vita un po’ traballante, cioè di “questa cosa che sta in bilico alla meglio perché c’è dentro un po’ di tutto, e che a un certo punto diventa uno sfacelo e si rompe (…) e ci sembra abbia una sua armonia incredibile”.