Molti sono i centenari di autori ed opere importanti, in questo 2022 appena iniziato: ed
uno dei centenari più rilevanti è certo quello del grande
Giorgio Manganelli.
Manganelli, infatti, nasceva a Milano il 15 novembre
1922. Come altri scrittori della sua generazione (per esempio, Bianciardi) aveva la
mamma maestra, mentre il
padre era procuratore di borsa. Dopo gli studi liceali, Manganelli passò all'Università di
Pavia, dove si laureò in Scienze politiche. Strana scelta per
uno che, come lui, aveva fin
da piccolo spiccati interessi
per i mondi filosofici, letterari e per la scrittura. E che, poco dopo la laurea, si ritrovò a
insegnare materie letterarie
prima in un liceo di Como,
poi alla cattedra di Lingua e
letteratura inglese alla Sapienza di Roma. Nel frattempo, Manganelli lavorava anche furiosamente come traduttore dall'inglese, esemplari, per esempio, sono le sue
traduzioni di Eric Ambler.
Intanto, nel 1946, giovanissimo, lo scrittore si era anche
sposato. Il tempestoso matrimonio durò poco più di un anno. In seguito Manganelli ebbe un'altra difficile relazione
con la poetessa Alda Merini,
di cui aveva contribuito, con i
suoi articoli di critica letteraria, a scoprire il talento. Alla
fine della storia con la Merini,
nei primi anni '50, Manganelli si trasferisce nella capitale,
chiamatovi anche a lavorare
come autore per la Rai.
Il suo vero debutto letterario avviene però solo nel
1964, con un testo multiverso intitolato "Hilarotragoedia". Manganelli era già da
tempo uno dei più attivi frequentatori dell'ambiente di
autori e critici di neoavanguardia del Gruppo '63. Il suo
primo libro è quindi un testo
emblematico della poetica
sperimentale del Gruppo. Il libro è dunque una sorta di manuale in stile narrativo-saggistico per l'esistenza intesa come discesa agli Inferi. Riproponendo per certi versi una
commistione tipica fra alto e
basso di alcuni testi-mondo
del passato, come per esempio il Satyricon, Manganelli
mescolava prosa filosofica e
grottesco, trattatistica e visioni letterarie. Rinviando di
continuo la narrazione, come
facevano i suoi amati Swift e
Sterne, Manganelli rimandava di fatto di continuo, in un
pastiche per certi versi neogaddiano e molto personale,
la scoperta del cuore di ciò
che, dal punto di vista narrativo, gli stava a cuore.
"Hilarotragoedia" lo impone come autore di una certa
importanza e ben presto viene chiamato a collaborare ai
quotidiani e alle riviste più
diffuse del periodo. Lascia così l'insegnamento per dedicarsi del tutto alla scrittura. Nel
1967 pubblica quello che può
essere definito come il suo vero testo programmatico, "Letteratura come menzogna". In
esso, con una prosa estremamente pastosa e raffinata,
Manganelli sostiene non solo
che spesso la letteratura è invenzione e mistificazione,
ma che deve essere tale, proprio perché è solo inventando
e rifacendo di continuo il proprio mondo che l'uomo riesce
a vivere.
Nel 1974 l'Espresso lo invia
in India, e gli articoli che Manganelli spedisce da quel Paese vengono poi raccolti in un
curiosissimo libro di viaggio,
"Esperimento con l'India". Lo
stesso fa poi con la Cina ed altri paesi pubblicando sempre
in quell'anno "Cina ed altri
orienti". Un'altra delle sue
grandi prove di scrittura è
"Centuria: cento piccoli romanzi fiume" in cui riprende
ancora l'idea sperimentale di
scrittura come macchina per
generare diverse forme da interpretare e diverse combinazioni di strutture.
Nel 1989, poco prima di
morire, Manganelli raccoglie
una sorta di auto-antologia
nel volume che cura per Rizzoli dal titolo "Antologia privata". Ed oggi, a inizio dell'anno del suo centenario, ci sembra in realtà proprio questo il
libro da cui cominciare per
guardare da vicino al vero peso di un autore così valido e
prolifico.