Articolato, denso, necessario.
Questi i tre aggettivi che proponiamo, tra molti che se ne
possono scegliere, per qualificare l'ultimo prodotto editoriale in italiano del
maestro olandese.
Articolato, perché il libro è un montaggio a freddo: si tratta di una raccolta
di saggi, articoli, progetti di ricerca e
conferenze che coprono un intervallo temporale esteso. Lo scritto più
remoto, Berlino un arcipelago verde,
risale al 1977; il più recente, Smart
City, data al 2014: trentasette anni,
dunque, separano i due scritti: e trentasette anni possono essere l'intera
carriera di un architetto. Eppure, nonostante l'ampiezza dell'intervallo, gli
scritti presentano una riconoscibile
unitarietà tematica e una palese uniformità di approccio alle questioni: e
questo non solo evidenzia anche la
coerenza, pur tentativa, nello sviluppo del pensiero di Koolhaas, ma rende anche il libro denso.
Denso, infatti, è il tema del libro, vale
a dire la messa in questione di «una
nuova sostanza urbana» (p. 138),
che viene rintracciata in luoghi diversi
e lontani: in Cina, a Dubai, in Florida,
a Singapore, a Lagos, a Las Vegas e
anche a Berlino. Onnipresente e pervasiva, tale nuova sostanza urbana
può essere considerata l'epitome dei
fenomeni insediativi dell'ultimo mezzo secolo. Non sorprende, pertanto,
l'obiettivo dichiarato del libro: documentare e interpretare «le drastiche
trasformazioni della globalizzazione
che hanno spazzato via, all'apparenza per sempre, il classico repertorio di
archetipi che aveva definito la nostra
nozione di città: strade, viali, piazze, e
le regole in base alle quali erano connesse, gli schemi tipologici secondo
i quali potevano essere organizzate. Quasi da antropologi, volevamo
considerare i nuovi dispositivi che li
hanno sostituiti al fine di sviluppare
un modello nell'ambito del quale questa nuova sostanza urbana potesse
essere descritta e compresa» (pp.
137-8). È possibile, infatti, stilare un
elenco di temi e questioni che si rincorrono lungo i testi, che hanno trovato una momentanea sistematizzazione in quella sorta di manifesto che è
La città generica (1994). E quali sono
tali temi e questioni? Indichiamone
alcuni: vuoto; paesaggio; genericità;
tempo libero (fun); pubblico vs privato; densità vs rarefazione; prossimità
vs distanza. Sono questi i capisaldi
concettuali dei ragionamenti del maestro olandese, e potrebbero anche
essere i capisaldi di una diversa Analisi Urbana, come suggerisce Manuel
Orazi nel bel saggio che introduce il
libro. Il libro è denso e, in definitiva,
spiazzante, perché costituisce una
sfida al sapere disciplinare consolidato e all'immarcescibile credo della
gran parte degli architetti: «il tabù del
genius loci delle antiche e sacre città
europee» (Orazi, p. 15).
Necessario, infine, perché il libro
impone (o ribadisce l'urgenza) di destarsi «dal dormiveglia dogmatico»
di coloro i quali non vedono, o non
vogliono vedere, quanto i fenomeni
urbani contemporanei siano diversi
dalla città tradizionale. A patto di non
scordare, però, che tale risveglio non
giustifica e non legittima approcci progettuali arbitrari e dimentichi delle più
elementari indicazioni che una canonica lettura urbana ancora può fornire. Specialmente nelle città italiane