Un viaggio al termine dell’Occidente su mezzi assolutamente di
fortuna, al di là della logica, in fondo calata dall’alto, dei voli low
cost. Per vedere «cosa passa davvero fuori dai finestrini», in mezzo
a nugoli di badanti e a un pittoresco diorama umano. È da leggere
Dalla via Emilia a San Pietroburgo (Quodlibet) di Tiziano Bisi, uno
che se ne intende di questi peripli. Varsavia, la Repubblica Ceca,
Riga, tra i porti principali dello zarismo e quindi la Lettonia, e
l’Estonia, il cui ingresso è segnalato da «una casupola di legno,
un’automobile della polizia di traverso e attorno solo foresta buia».
Ecco Ivangorod, la Russia sterminata, dopo avere attraversato «il
ponte in ferro sul fiume Narva e il confine sull’acqua». Tutto nasce
qui, dalle spiagge del mar Baltico, per finire «9200 km e undici fusi
orari più a est, sull’isola di Ratmanov, nello stretto di Bering». 17
milioni di chilometri quadrati carichi di suggestione. Finalmente
San Pietroburgo, la sua seconda casa ormai, con «le sue grandi e
splendide illusioni». Scrisse Gogol’ nel 1836: «Contro Mosca vecchia
massaia, che cuoce le frittelle nel forno, guarda da lontano e
ascolta senza alzarsi dalla poltrona quel che le si racconta sulle
cose del mondo, s’era levato Pietroburgo, un giovanotto svelto, che
non sta mai in casa e, sempre ben vestito, pavoneggiandosi di
fronte all’Europa, se la fa con quelli d’oltremare». E ancora le
distese di pneumatici e autoricambi in offerta; le mense a
buonissimo mercato; i “blatnye pesni”, ossia le canzoni della
malavita, un genere musicale molto popolare in Siberia; le betulle
a perdita d’occhio e la leggendaria statale 8, l’E67, «che s’avvia a
Praga per interrompersi sul bagnasciuga di Tallin e continuare
fino a Helsinki via nave»; le tracce enormi come quelle dei
dinosauri di Lenin, Stalin, Puskin e poeti come Majakowskij; quel
che resta delle “case del partito” e degli ex casermoni e formicai
sovietici.
Lui, Tiziano Bisi, l’autore-viandante del libro, si descrive come uno
che non ha «più niente da perdere. Io ho una laurea in Lettere e
Filosofia. Ho lavorato al banco scommesse dell’ippodromo. Alla
reception di un ostello in Canada. Come addetto bibliotecario.
Barman. Montatore di documentari per il primo canale. Redattore.
Creativo pubblicitario televisivo per reggiseni, valigie, scarpe,
elettrodomestici. Agente di commercio in Ungheria e Croazia.
Insegnante».
Come le è venuta l’idea di un simile tour?
«Il viaggio on the road, come la letteratura e la scrittura, è parte
integrante di me. Già a vent’anni, per dirla con Mallarmé, avevo
“letto tutti i libri” e, così, “fuggire, là fuggire”, presi a viaggiare.
Prima in Europa, in pullman, in treno, a piedi per Francia, Scozia,
Irlanda, sui traghetti per il mare del Nord, i paesi scandinavi; poi
sui pullman Greyhound e in autostop, coast to coast, per gli Stati
Uniti d’America e il Canada, da Boston a Vancouver, da Seattle a
Tijuana in Messico, da Phoenix a Philadelphia. E ancora in
pullman, su e giù per il Nordeste brasiliano, da Salvador de Bahia
a Fortaleza. Dopo aver girovagato in lungo e in largo per il mondo,
cosiddetto, “occidentale”, non mi restava altro che puntare la mia
bussola verso l’Eldorado: l’est Europa. Così ho studiato da zero la
lingua russa, ché l’inglese in certi luoghi è inutilizzabile. Nel 2007
ho iniziato a frequentare Budapest, Cracovia, Kiev, Varsavia. Il
2008 è stato l’anno del mio primo approdo in Russia. Quattro
giorni in treno da Bologna. E da Mosca mi sono mosso per
Vladivostok, novemila chilometri più in là, fermandomi a
Novosibirsk, Irkutsk e il lago Bajkal, Kizil, Ulan-Ude, Khabarovsk.
Un giro che è durato sei settimane lungo la ferrovia Transiberiana
e, per alcuni lunghi tratti verso la Mongolia, a bordo di autobus
locali. Da lì a breve la mia prima volta a San Pietroburgo, una
folgorazione. Una no stop sempre da Bologna alla stazione
ferroviaria Baltijskij vokzal. Da allora sono andato e tornato “dalla
via Emilia a San Pietroburgo” decine di volte. In quest’ultima ci ho
vissuto per otto anni, lavorando come insegnante nella Facoltà di
Filologia dell’Università Statale e consulente commerciale per
aziende italiane e russe».
Ha viaggiato su pullman scalcinati e “collettivi”, toccando
luoghi dimenticati da Marx e da Dio. Quali sono state le mete
più inaspettate e sorprendenti?
«Sicuramente il VII° distretto di Budapest e i suoi ruin bars dietro
alla Sinagoga; le kommunalki di San Pietroburgo, gli appartamenti
condivisi nei pressi della prospettiva Nevskij, quelli con il box
doccia piantato nel soggiorno; e, più a nord, la Carelia e il lago
Onega e le chiese di legno centenarie; più a nord ancora, ben oltre
il Circolo Polare Artico, la stazione di Murmansk con la stella rossa
a darti il benvenuto sul primo binario e la strada sterrata che
punta nella tundra fino a Teriberka».
Cosa ha portato nel suo zaino?
«Una foto di Rasputin benedicente, trovata in un seminterrato
della biblioteca Sala Borsa di Bologna. Lui, un autentico sciamano,
il tredicesimo apostolo che da un villaggio siberiano arrivò a San
Pietroburgo e, in pochi anni, divenne più potente dello Zar di tutte
le Russie. Il Zhivoj Transerfing di Vadim Zeland, che ci insegna a
gestire la realtà e non a subirla. Le notti bianche di Dostoevskij, un
libro, per me, di culto».
Che tipo di umanità ha incontrato durante i suoi viaggi
iniziatici nell’est?
«Variegata. Dal senzatetto che vive nella stazione della
metropolitana Gor’kovskaja all’oligarca georgiano miliardario,
proprietario di decine di centri commerciali; dall’italiano pizzaiolo
arrestato dall’Interpol al medico naturopata, assassinato in
circostanze misteriose. E poi tante donne. I popoli dell’est
possiedono una vitalità, una forza d’animo, una spiritualità, che gli
occidentali hanno perduto. Sono mediamente più acculturati, più
sensibili al fascino dell’arte, più interessati alla letteratura e al
teatro. Dopotutto non è per caso che l’istruzione universitaria in
Russia sia, praticamente, gratuita. A San Pietroburgo c’è una
libreria e un teatro in ogni via, e i biglietti sono sempre esauriti. I
russi hanno un difetto soltanto: amano follemente l’Italia, e gli
italiani. La Russia rappresenta un’alterità irriducibile».
Cosa significa, per lei, il concetto di spaesamento?
«Significa entrare nel mondo dell’inconsueto, in quello che non ci
si aspettava di incontrare. Significa essere vivi. Significa vivere
senza condizionamenti, senza appartenere a un’ideologia politica,
a una nazione, a una città. Significa trasformare la propria vita,
entrare “nel mondo del miracoloso”, come lo chiamava
Ouspensky, il filosofo russo e allievo di Guirdjieff».
Il Lux Express spiegato ai profani.
«È un pullman di gran classe, frequentato da dame e gentiluomini
della cosiddetta alta società polacca e lettone».
Si è spinto fino a Teriberka, dove “finisce il mondo”.
«Teriberka è l’ultima frontiera e avamposto della civiltà umana. A
Teriberka non c’è niente. C’è il mare di Barents e, oltre, ci sono la
Terra di Francesco Giuseppe, le isole Svalbard, la Groenlandia. In
quel precipizio, gorgo cosmico che è Teriberka, tutto giunge a
conclusione: nessun arrivismo, autocelebrazione, servilismo, né
fuoriserie e abiti alla moda o social network. Ci sono però il
Cimitero delle navi, il film Leviathan, l’aurora boreale, i pozzi
petroliferi, i sottomarini nucleari d’attacco, le navi rompighiaccio,
gli iceberg, le balene, gli orsi polari».
Perché San Pietroburgo è la sua città ideale?
«Città strepitosa, pochissimo russa. Un popolo meraviglioso, i
peterburzhcy, i pietroburghesi, “gente del sud costretta a vivere al
nord” secondo Madame de Stael. Città totalmente folle,
artificiale. Un’utopia di granito costruita dove, dopo la Creazione,
non era previsto ci fosse niente altro se non ghiacci e foreste e lupi
a branchi. Ragazze bellissime, bevute sconfinate di birra Baltika n°
7, disco-bar aperti fino all’alba, fucilate di kalashinkov, taxi
abusivi, gli inverni eterni e le notti bianche. Quando, come scrisse
Iosif Brodskij, “è cosi? difficile addormentarsi perché, in quel
sonno, ogni sogno sarà sempre inferiore alla realtà”. Poi, la
prospettiva Nevskij, i cinque chilometri dell’arteria letteraria più
lunga d’Europa. I capolavori più memorabili della letteratura sono
nati a San Pietroburgo».
Infatti il suo libro ribolle di un amore sconfinato per la grande
letteratura russa.
«Leggiamo e facciamo leggere nelle scuole italiane L’idiota di
Dostoevskij. Lui è un uomo prekrasnyj, meraviglioso, buono.
L’idiota è colui che si ribella, che si distingue dal gregge.
Dovremmo essere tutti un po’ più “idioti”».