Recensioni / Come evitare i borghi-resort

Ha un sito da far invidia a Parigi Civita, 11 abitanti per un milione di turisti in tempi di vacche grasse, piccolo paese tra l'Umbria, il Lazio e la Toscana, in provincia di Viterbo. «Scopri la nuova Civita di Bagnoregio Travel Card — si legge in home page — una card interamente dedicata al turista con audioguide geolocalizzate, sconti, omaggi e degustazioni offerti dai commercianti del territorio!». Spippoli e ti accorgi che da Cucinelli a Crepet il vippume italico non disdegna di partecipare a eventi qui organizzati. Così Giovanni Attili, intelligente urbanista romano, docente alla Sapienza, al paese arroccato su un promontorio di tufo — spopolato di residenti e popolato di souvenir, panini e fiumane di uomini e donne in shorts e occhiali da sole — ha dedicato un libro — Civita, senza aggettivi e senza altre specificazioni, Quodlibet edizioni —e oggi è qui a Firenze (alle 18.30 alla Brac) per presentarlo in dialogo con Pietro Gaglianò.

All'indomani dell'annuncio della coppia degli architetti Fuksas di voler adottare Bibbona per farne un laboratorio di buone pratiche non possiamo che partire da questa domanda. E la strada giusta, quella dei Fuksas per salvare i piccoli paesi a rischio spopolamento?
«E difficile esprimersi perché alcune affermazioni rimangono piuttosto vaghe come "creare servizi adatti, porre le basi per poterci vivere". In che modo? Perché le persone dovrebbero andare a viverci? In generale penso che, indipendentemente dalle intenzioni dei proponenti, un progetto come questo possa rischiare di incappare in un'eterogenesi dei fini. Quando gli interventi di riqualificazione urbana puntano al recupero scintillante di una forma architettonica svincolata dalla vita che la produce e che la rigenera costantemente, ci affacciamo sul baratro di un possibile fallimento. Dov'è la capacità di auto-rigenerazione che è tipica di ogni organismo urbano? Qual è il motore sociale, economico, produttivo che lo renderebbe vivo? Se non si riesce a rispondere con la giusta complessità a queste domande si rischia di creare l'ennesimo" borgo-resort a uso e consumo di classi abbienti che possono permettersi di vivere in un frammento di immobile ristrutturato dall'archi-star di turno. Insomma per ora mi sembra solo un annuncio luccicante. E gli annunci luccicanti mi rendono spesso diffidente».

Un po' come è accaduto a Civita anche se nel suo libro lei parla pure di una fase in cui il piccolo borgo ha avuto un inserto virtuoso che ha radicato la gente ai suoi luoghi. Ce ne vuole parlaré, visto che lei stesso ritiene la storia del paese paradigmatica e dunque una base di riferimento per non commettere errori analoghi in futuro in luoghi simili?
«Civita, arroccata com'è su un trono di tufo esposto all'azione erosiva del Rio Chiaro e del Rio Torbido, è sempre stato un luogo dove vivere era molto rischioso e dove le spinte centrifughe erano molto forti. Ma il particolare legame che i suoi abitanti avevano con la loro terra l'ha resa indenne da questa fuga sino alla fine degli anni `50, quando l'abbandono dei campi ha reciso il legame. Sembrava una deriva irreversibile ma a sparigliare le carte è arrivata qui Astra Zarina, (architetta americana di origini lettoni ndr.)».

La quale...
«Ha creato le condizioni per alimentare quella che l'antropologo Vito Teti chiama la "restanza", che non è un restare rassegnato e statico ma attivo. Lei, dopo aver iniziato a recuperare alcune case del paese, si è messo in ascolto della popolazione, ha creato qui la sua scuola estiva di architettura durante.la quale studenti americani risiedevano a Civita (nelle case della gente del luogo ndr). scambiandosi esperienze e competenze. Ha creato un innesto tra tradizione e novità generando nuove idee e un nuovo modo di vivere il paese».

Dunque l'innesto, la contaminazione può essere una risposta. Portare nuove teste in territori antichi aspettando che venga qualcosa fuori di bello... E questo che va fatto, sperando che, come accade ai figli di razze miste che in genere sono molto belli, tale mix generi nuova bellezza?
«Sì, ma partendo dall'ascolto della cittadinanza locale. Astra Zarina, che a Civita è stata amatissima, si è messa in ascolto con pazienza, trascorrendo le serate con la gente del paese, cercando di conoscerla e vincendo l'iniziale diffidenza».

E ha dato loro anche delle risorse economiche. Ma non può dirsi che, adesso che tutto ciò è finito, Civita non ne abbia. È piena di turisti...
«Si ma resta con 11 abitanti».

Di chi è la colpa? Degli urbanisti, degli amministratori? È importante saperlo visto che adesso tanti soldi del Piano Nazionale di ripresa e resilienza saranno dedicati ai borghi desertificati...
«Il tema del Pnrr è molto importante e lo sto studiando a fondo. Posso dire che molte responsabilità sono degli amministratori. Cose da non fare che hanno fatto a Civita? Gliene elenco qualcuna. Non si può fare dell'unico immobile pubblico un Airbnb destinando al capitalismo delle piattaforme uno spazio che dovrebbe essere per la comunità. Non si può fare un accordo con il porto di Civitavecchia per portare i turisti a frotte in un paese così piccolo e fragile, non si può chiedere un biglietto d'ingresso per entrare nel borgo o vietare i cortei dei funerali nel centro per non disturbare i turisti. Ma non si può neanche, per dirla -alla Boeri, credere di poter vivere in un piccolo centro come si vive in una città. I luoghi vanno ascoltati e capiti. E adattati a nuove esigenze. E mi creda io non ho nessun pregiudizio nei confronti dei turisti, ma le cose vanno fatte con equilibrio tenendo conto delle priorità».