Recensioni / Irene Fantappiè, Franco Fortini e la poesia europea. Riscritture di autorialità

Traduttore eminente e versatile da svariate lingue europee, Franco Fortini intrecciò sempre la propria attività traduttoria con riflessioni teoriche, poetologiche, storico-ideologiche e stilistiche, di cui costituisce una summa il volume postumo Lezioni sulla traduzione, trascrizione delle lezioni tenute all’Istituto italiano per gli Studi filosofici di Napoli nel novembre 1989. Questa importante pubblicazione e il generale rilancio degli studi su Fortini in occasione del centenario della nascita (2017) hanno determinato un approfondimento degli studi critici sull’attività traduttoria di Fortini: se nei decenni precedenti erano prevalse analisi specifiche su singoli autori tradotti (ampia è, ad esempio, la bibliografia su Fortini traduttore di Brecht), si segnalano ora ricerche più ambiziose e a più ampio raggio che mirano a definire la poetica della traduzione di Fortini e fanno del corpus delle sue traduzioni un tutt’uno con la sua produzione critica e poetica. È questo il presupposto da cui si diparte la argomentazione di Irene Fantappiè, comparatista presso la Freie Universität di Berlino, che nel presente volume raccoglie, integra e ridispone in prospettiva unitaria studi in parte già editi negli scorsi anni.
In sintonia con Fabio Scotto, che in un recente saggio ha osservato come la poetica della traduzione di Fortini chiami in causa «l’autorialità e la soggettività dell’autore-traduttore e il suo rapporto con la storia», Fantappiè dimostra in questo denso volume come la traduzione costituisca per Fortini uno «strumento di costituzione di un’autorialità». Proprio nel sottotitolo del saggio, Riscritture di autorialità, emerge l’intento programmatico della studiosa, ovvero favorire una feconda sinergia tra due filoni di studi novecenteschi rimasti indipendenti l’uno dall’altro: gli studi sulla “autorialità”, intesa come «costrutto letterario e culturale che oltrepassa le coordinate dell’identità individuale», e gli studi sulle traduzioni, sulle riscritture e sulle pratiche di intertestualità. A una prima parte teorica in cui Fantappiè delinea con chiarezza il dibattito critico sulla riscrittura e definisce quindi la propria autonoma proposta di integrazione tramite il concetto di «riscritture di autorialità», segue una più ampia sezione in cui la studiosa presenta l’orizzonte teorico delle teorie traduttologiche di Fortini, mettendole in relazione con le prospettive critiche delineate da Gianfranco Folena in Volgarizzare e tradurre e nei saggi de Il linguaggio del caos. L’autrice esamina quindi sotto il profilo storicoculturale e filologico-testuale traduzioni e riscritture di poeti europei classici e moderni (H.M. Enzensberger, Karl Kraus, Heine, Baudelaire, Rilke, Max Jacob) tramite cui Fortini costruisce la propria postura e analizza, infine, alcune delle cosiddette «traduzioni immaginarie» di Fortini, componimenti originali presentati come traduzioni, attraverso cui il poeta mira piuttosto a negare la propria identità e a decostruire la propria maschera autoriale.
All’interno dell’ampio corpus traduttivo di Fortini, la studiosa volge l’attenzione non alle traduzioni più celebri, quali il Faust o le Poesie e canzoni di Brecht, quanto a testi più trascurati e in cui si intrecciano con maggiore evidenza «processi poetici e metapoetici», ovvero i testi contenuti nell’“autoantologia” di traduzioni Il ladro di ciliegie, per i quali Folena parlò di «paesaggi di transpoesia» . I testi qui raccolti da Fortini, che svariano da Milton a Queneau, da Goethe a Attila József, sono caratterizzati – osserva Fantappiè – da una autorialità «ibrida» (non sono traduzioni in senso stretto, ma neppure, come vuol far credere Fortini nella premessa, «scritture mie»), il che rende questa antologia un terreno particolarmente fertile per l’osservazione «dei processi di self-fashioning, di costituzione e messinscena della propria postura autoriale» (Fantappiè). Richiamandosi alle «operazioni sociali» inerenti la traduzione, messe a punto da Pierre Bourdieu (sélection, marquage e lecture), la studiosa indaga quindi in che modo avvenga nel Ladro di ciliegie la sélection e quindi il marquage.
Ragionando sui motivi che indussero Fortini a inserire nel Ladro di ciliegie quale unica poesia di Enzensberger la composizione die verschwundenen, Fantappiè arguisce acutamente che si trattò di una scelta da ricondursi alla polemica con la neovanguardia ingaggiata da Fortini ai tempi della pubblicazione del volume antologico di Hans Magnus Enzensberger Poesie per chi non legge poesia, che egli curò e tradusse insieme alla moglie Ruth Leiser e che apparve proprio presso Feltrinelli, casa editrice di riferimento della neoavanguardia italiana.
La poesia die verschwundenen, dedicata a Nelly Sachs e intrisa di motivi e temi palesemente sachsiani (il ricordo delle vittime della Shoah dissolte nell’aria, il reiterato richiamo alla «polvere» e alla «sabbia»), non si lascia ricondurre a quei tratti della lirica di Enzensberger, ovvero «l’agilità mercuriale e il sarcasmo», che Fortini nella premessa al Ladro di ciliegie mostra di apprezzare particolarmente. Essa si rivela, piuttosto, una poesia ricca di riferimenti alla tradizione letteraria (Nelly Sachs, ma anche Rilke) e come tale venne elogiata da Fortini già nel gennaio 1964 in un profilo su Enzensberger pubblicato su «L’Europa letteraria». Nella sua lirica più matura, di cui die verschwundenen costituisce un felice esempio, Enzensberger si rivela un poeta consapevole della tradizione letteraria, dotato di una forte coscienza storica, ormai lontano dal dannoso «presentismo» degli inizi (così Fortini nel saggio citato) e come tale, dunque, difficilmente riconducibile alle istanze della neovanguardia.
Su questa traduzione Fortini opera peraltro una decisa marcatura stilistica, rendendo il testo più lapidario e ritmicamente irregolare. In una delle tante analisi stilistiche magistrali compiute da Fantappiè nel presente saggio, la studiosa mostra come Fortini crei un ritmo sincopato e ricorra agli «enjambements forti» tipici di Brecht, evocando, dunque, anche nella traduzione da Enzensberger, quella «pronuncia percussiva» in cui Giovanni Raboni ravvisava un tratto caratteristico della «linea Brecht-Fortini».
Analoghe alle scelte metrico-stilistiche adottate nella traduzione di Enzensberger sono le soluzioni proposte nella traduzione di Sonntag di Karl Kraus (Domenica dopo la guerra, come traduce Fortini con un evidente omaggio a Vittorio Sereni): le brusche interruzioni e i ritmi sghembi corroborano la postura brechtianeggiante che Fortini aveva cominciato a costruire di sé negli anni Cinquanta e creano un effetto di “straniamento” che corrisponde alla poetica traduttologica di Fortini, finalizzata a evidenziare fratture e dissonanze e a mantener vivo quel «pathos della distanza» che separa il traduttore e il lettore dal testo originale.
Tutt’altro che cantabile è anche la traduzione di Wenn ich an deinem Hause di Heinrich Heine, in cui Fantappiè mette in luce un richiamo a Giacomo Noventa, traduttore di Heine in dialetto: tramite un’articolata e dotta disamina, la studiosa mostra come Fortini porti a compimento con questa versione heiniana l’interpretazione di Heine proposta da Noventa, di cui Fortini condivide la protesta contro la lingua aulica e contro l’uso iperletterario della lingua predominanti nelle traduzioni heiniane di Giosuè Carducci.
Le analisi di Fantappiè mostrano come le scelte traduttive operate da Fortini non prescindano mai da un dialogo, spesso polemico, con la tradizione letteraria; così, la versione fortiniana di una composizione di Rilke (Immer wieder, ob wir) va interpretata in implicita polemica con il linguaggio dell’ermetismo, quale traspare nella traduzione della stessa poesia realizzata da Leone Traverso12. Ad essa Fortini preferisce la versione di Giame Pintor, rispetto alla quale egli opera anche alcuni evidenti prestiti in sede di traduzione: della versione di Pintor Fortini apprezza la relazione trasparente tra significante e significato, il rapporto solido tra verba e res, così distante dal linguaggio «incantato e lucido, casto e freddo» dell’Ermetismo.
Le «traduzioni immaginarie», su cui Fantappiè si concentra nel finale del suo saggio, rappresentano per Fortini, di converso, l’occasione per praticare poetiche lontane dalla propria, per indossare maschere autoriali diverse e confondere o negare la propria identità. Così, nella fittizia traduzione da Rimbaud, Illuso da quest’orbita, Fortini imita Montale, un poeta verso il quale egli non mancò mai, peraltro, di manifestare le sue riserve.
Il volume di Irene Fantappiè costituisce, in conclusione, un saggio denso e complesso, ma sempre sorretto da grande chiarezza espositiva e sicurezza metodologica, che non mancherà di offrire spunti di riflessione e di ricerca non solo agli studiosi di Fortini, ma anche, più in generale, a coloro che svolgono ricerche nel campo della traduzione e della sociologia della letteratura.