Recensioni / Emanuele Quinz, Contro l’oggetto

Con Strange Design (it: editions, 2016), Emanuele Quint, storico dell'arte, produce un flash analitico sul design del tempo insieme a Jehanne Dautrey, docente di filosofia, secondo una prospettiva molto specifica che accomuna le loro due discipline: un'indagine sull'uso di oggetti "strani", che rifiutano le consunte convenzioni, come la relazione formafunzione. Oggetti disfunzionali, opachi, enigmatici, a volte ostili, che inducono a comportamenti a loro volta derivanti da valori particolari. Questa analisi rimane invariata anche in Contro l'oggetto, la ersione italiana del volume, che riprende parte delle interviste di Strange Design ma allarga l'ambito dell'indagine ad altre presenze e considerazioni.

Una controstoria del design
L'indagine prende avio dalla constatazione dell'emergere storico di un paradigma critico all'interno del design o, secondo la definizione di Ettore Sottsass, di un "controdesign", un atteggiamento critico nei confronti del design che si manifesta all'interno della professione stessa.
Contro l'oggetto si propone di illustrare in maniera puntuale e multidisciplinare, una controstoria del design o, con il medesimo significato, una storia del contro-design.
L'autore inizia la sua analisi dal fondamentale momento di svolta provocato nel campo del design e dell'architettura dal movimento dei cosiddetti "radicali", nato nel corso degli anni Sessanta alla facoltà di Architettura di Firenze, e proseguito in seguito soprattutto a Milano. Quinz interpreta questo momento come un progressivo spostamento dall'architettura verso il design, soprattutto in alcuni protagonisti come Andrea Branzi, e in generale come una critica nei confronti dell'architettura in cui questi architetti, formatisi alla scuola del Movimento Moderno, cercano di mantenere lo stesso mandato sociale e politico della disciplina, pur criticandone le forme e sconfinando spesso nel linguaggio dell'arte.
Il design appare come una maniera di esprimere il pensiero d'architettura che si colloca tra l'architettura e l'arte, e che permette di evidenziare il ruolo "narrativo" e quello "politico" del quotidiano, attribuendo così anche un impatto politico a ciò che, almeno concettualmente, costoro mettevano in opera. In questo particolare momento gli architetti "radicali" fanno "design" senza necessariamente produrre oggetti ma compiendo azioni performative, come nel caso di Gianni Pettena e UFO, o esprimendo il loro pensiero attraverso testi teorici, e utilizzando comunque una serie di supporti che contraddicevano la centralità dell'oggetto o lo situavano all'interno di un sislerna narrativo molto più complesso. Tutto questo era inteso a dimostrare come gli oggetti stessi fossero sempre imprigionati in una rete di contaminazioni simboliche, sociali e politiche. Ricorrente nel "radicale" e la definizione di "condizionamento", presente in tutti i testi teorici, un condizionamento provocato dall'architettura e dal design. Emerge dunque l'idea di un design contro il design, un design che rifiuta le forme tradizionali, quelle della standardizzazione, della produzione in serie, con prototipi che assumono una dimensione performativa, spesso effimera o del tutto teorica.

Il libro inizia dunque con l'Italia e comunque, rispetto a quella francese e inglese, l'edizione italiana aggiunge altri percorsi che si sommano ai precedenti, uno dei quali è quello di portare alla luce il contributo di Giovanni Anceschi e Clino Trini Castelli. Anceschi e Castelli hanno avuto un ruolo fondamentale nel passaggio dall'oggetto all'interfaccia, verso una cultura del tutto nuova in cui l'oggetto non è più un supporto materiale, un elemento funzionale, ma un "soggetto" che induce a determinati comportamenti, ad avere forme di autonomia, di reattività: un oggetto che è sempre meno oggetto e sempre più soggetto. Altro aspetto di questa controstoria del design è sottolineare le radici europee nello sviluppo di un design tecnologico, interattivo, multimediale, ecologico: il design concettuale olandese e il critical o speculative design inglese, che hanno avuto attenzione nelle scuole e nelle accademie di design liberando gli studenti dalle costrizioni del progetto, vicino invece ai processi e linguaggi dell'arte.
Nel rapporto con le pratiche artistiche più diverse, il design ne adotta forme espressive e linguaggi (concettuale, video), assumendo la funzione critica che l'arte aveva avuto sin dagli anni Sessanta. Nel rapporto tra l'arte concettuale delle origini (da Duchamp, che utilizza oggetti di consumo con una valenza artistica modificandone o eliminandone le funzioni) e la storia del design c'è, secondo Quinz, necessità di cominciare a considerare una storia interdisciplinare, o meglio "controdisciplinare", delle arti. Alcune forme di arte contemporanea, ad esempio l'arte concettuale, sono diventate sempre più "artistiche" in opposizione ad altri campi disciplinari come il design. Si devono perciò gettare le basi di una controstoria del design in cui si confrontano tutti questi elementi.

Dal design critico alla critica del design
Come dal design critico è emersa una forma di critica del design che va oltre i diversi linguaggi del critical design? Nel 1971 sono stati pubblicati una serie di volumi di critici, designers e architetti che hanno posto la questione di una critica del design, osservando che se la società contemporanea, la società dei consumi, produce dipendenza e forme di alienazione, di questo è responsabile anche il design. Si introduce una critica sul ruolo del designer, connessa a quella politica, sociale, economica, ecologica. E infine, con Didier Faustino, Superflex e Ernesto Oroza, un'importante linea di indagine si affianca a quella della "stranezza" e del pensiero critico: di come individuare forme alternative di azione, resistenza, resilienza, in una società in cui il design ha avuto e ha ancora una consistente funzione. II design, oltre al suo ruolo classico, diventa pratica sociale complessa, critica e controllo dell'evoluzione del dibattito culturale. Nella presentazione del volume, Quinz sottolinea come, a questo riguardo, sia emblematica la figura di Gianni Pettena, uno dei grandi protagonisti della stagione radicale, che riconosce come sua principale fonte di ispirazione, una sorta di modello, non solo perché è contro l'oggetto, ma anche perché incarna in modo molto chiaro questa "...prospettiva ed esigenza di un design concettuale che è anche una maniera di fare attenzione al mondo, di rispettare l'ambiente, di non occupare e riempire il mondo di cose e oggetti ma al contrario lasciare che le cose succedano, lasciare spazio all'alterità".

Recensioni correlate