Pier Luigi Nervi è senza dubbio una delle figure che nell’ultimo decennio ha
ricevuto maggiore attenzione non solo degli storici dell’architettura e della costruzione, ma da parte di studiosi di Built Environment in genere, sia italiani che
internazionali. Essi ne hanno indagato la biografia, l’estro inventivo in campo
tecnologico e spaziale, le collaborazioni e la fama, mentre specifici affondi sono
stati dedicati ai più celebri edifici e numerose mostre (sia monografiche che
tematiche) ne hanno illustrato l’opera a un pubblico ampio e variegato. Nonostante questa copiosa messe di studi uno dei meriti del recente volume Pier
Luigi Nervi in Africa. Evoluzione e dissoluzione dello Studio Nervi 1964-1980
(Quodlibet, 2021) è senz’altro quello di offrire al lettore una pagina (sorprendentemente) nuova della parabola professionale nerviana: l’intensa attività dell’ingegnere e dei suoi collaboratori nel continente africano. Ben quaranta opere
– tra progetti, consulenze e collaborazioni – che dal 1964 al 1980 lo Studio ha
dispiegato in Marocco, Algeria, Libia, Egitto, Etiopia, Nigeria, Costa d’Avorio,
Repubblica Centrafricana, Kenya, Tanzania, Congo e Sudafrica. Progetti ed edifici sinora scarsamente attenzionati dalla storiografia, e che Micaela Antonucci e
Gabriele Neri hanno indagato e riportato alla luce grazie a ricerche archivistiche
e sopralluoghi sul campo. Per valutare l’importanza di questo contributo basti
pensare che dopo l’Italia e gli Stati Uniti la Costa d’Avorio è il terzo Paese al
mondo a poter vantare il maggior numero di progetti firmati da Nervi.
Il libro si avvale di una introduzione di Ana Tostões, presidente DOCOMOMO International, ed è organizzato in tre parti. Nella prima Antonucci e Neri
analizzano le cause di questo vuoto storiografico, descrivono l’organizzazione
dello Studio Nervi nell’ultimo decennio di attività – i principali collaboratori, le
sinergie attivate e il modus operandi in contesti così lontani e complessi – e
presentano la produzione africana dello Studio, elencando e descrivendo sinteticamente i progetti nei diversi Paesi e le collaborazioni episodiche. Il secondo
e terzo capitolo, a firma rispettivamente di Antonucci e Neri, prendono invece
in esame i casi studio più significativi – il Good Hope Centre a Cape Town
(1964-1977), la sede della Banque Africaine de Développement e la sede della
Nunziatura Apostolica ad Abidjan e altri edifici in Costa d’Avorio, tutti progettati
e costruiti tra il 1970 e il 1980 – analizzandone minuziosamente la storia, dalla
committenza alle diverse elaborazioni progettuali, sino alle collaborazioni con
i professionisti locali, i rapporti spesso non lineari con le imprese costruttrici e i
riverberi che questi edifici, una volta completati, hanno continuato a propagare
nel continente. Un inserto con fotografie a colori dello stato attuale di questi edifici, una lista dei progetti africani dello Studio Nervi e una bibliografia dettagliata
concludono il volume.
Come osservato dai due autori, nei primi anni Settanta lo slittamento geografico dei grandi progetti dello Studio Nervi dagli Stati Uniti all’Africa e al Medio
Oriente si deve anzitutto alla prolungata incapacità (o non volontà) di investire su un aggiornamento delle soluzioni tecnologiche e delle strutture organizzative e gestionali dell’ufficio. Sino alla chiusura definitiva dello Studio in
lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma nel 1980, Nervi e i suoi collaboratori
continuarono a progettare avvalendosi di quelle soluzioni costruttive e formali
elaborate nel contesto artigianale dell’edilizia italiana degli anni Quaranta e
Cinquanta: il celebre “sistema Nervi” – combinato di ferrocemento e prefabbricazione strutturale –, le volte nervate, i solai a nervature isostatiche e i pilastri
a sezione variabile, che infatti caratterizzano anche la produzione africana. E
se negli Stati Uniti l’impiego del “sistema Nervi” risultava antieconomico e in
conflitto con le tecnologie, i sistemi di calcolo e un mercato del lavoro in rapido
mutamento, in Africa il basso costo della manodopera e i sistemi costruttivi
in uso ancora allo stato artigianale ben si adattavano alle metodologie dello
Studio Nervi. La scelta di orientarsi verso il continente africano – suggeriscono
gli autori – sembra dunque dettata, tra i vari fattori legati alla politica di espansione all’estero delle attività dello Studio, anche dall’esigenza e dalla volontà
di perpetuare una ‘maniera’ di progettare e costruire oramai datata, ma ancora
richiesta e di forte appeal in questi Paesi.
Oltre all’inedito bagaglio conoscitivo che Antonucci e Neri dedicano alla produzione africana di Pier Luigi Nervi e dei suoi collaboratori, interessanti sono
anche le considerazioni che i due autori rivolgono alla struttura organizzativa
dello Studio che, a seguito del ritiro graduale dalle attività di Pier Luigi dal
1971 e sino alla sua morte il 9 gennaio 1979, vide emergere le figure dei figli
Antonio e Vittorio (architetti) e Mario (ingegnere). Nonostante nel 1975 lo Studio arrivasse a toccare un ragguardevole organico di dodici ingegneri, tredici
architetti, due periti tecnici, nove disegnatori e quattro amministrativi, non fu
mai compiuta quella trasformazione da studio di impronta familiare-artigianale
a firm progettuale di stampo multidisciplinare e generalista che, ad esempio,
aveva compiuto Ove Arup a Londra, e che era necessaria per sopravvivere
ai cambiamenti tecnologici e alle esigenze delle imprese di costruzione e del
mercato in quegli anni.
Nei progetti africani dello Studio Nervi emerge progressivamente la figura di
Antonio, e in misura minore del fratello Mario, come quelle chiamate – non
senza difficoltà e contrasti familiari – a sostituire il padre come progettista e
rappresentante dell’ufficio. Fu Antonio a recarsi più volte in Sud Africa e Costa D’Avorio per incontrare i committenti, scegliere i tecnici e progettisti locali,
trattare con le imprese. E durante gli anni Settanta, con Antonio in prima linea,
lo Studio Nervi tentò il salto di qualità, assumendo incarichi non solo ristretti
alla progettazione preliminare e strutturale, ma estesi anche al progetto esecutivo, degli impianti e della direzione lavori. Limitando il controllo progettuale
stringente e assoluto che il pur debilitato Pier Luigi continuava ad esercitare,
Antonio si spese per aggiornare la struttura gestionale dell’ufficio, come osservato da Mario Nervi nella preziosa citazione riportata anche in apertura del
volume: “il nostro passato organigramma era assolutamente statico, costituito
nella parte più alta da un punto e da una linea orizzontale molto più in basso,
mentre il presente dovrebbe essere costituito da cerchi concentrici che si creano e si annullano dinamicamente dal centro alla periferia e viceversa” (p. 25).
Una trasformazione che non si completò per il diniego di Pier Luigi Nervi ad
abdicare da quel ruolo di dominus assoluto che esercitava da sempre e per il
mancato investimento in nuove tecniche e metodi costruttivi e modelli organizzativi. Trasformazione che fu drammaticamente interrotta nel 1979 dalla morte,
a sei mesi di distanza, di Pier Luigi e di Antonio. Con la cessazione definitiva
delle attività dello Studio Nervi nel 1980, si chiudeva così la parabola del più
internazionale e riconosciuto tra gli ingegneri e progettisti italiani del Novecento, la cui attività questo libro di Antonucci e Neri contribuisce a documentare,
suggerendo nuove domande e aprendo a nuovi percorsi di ricerca.