Recensioni / Fuori orario: andar di notte nelle città di provincia

Leggerezza, alcool, festa, violenza, rigenerazione, proteste, residenzialità, risse, illegalità, aperi-riti. Nel ritratto proposto da Cristina Cristofori (a cura di) in Andar di notte: viaggio della movida delle città medie, le allegorie della notte nell’epoca del benessere antropocentrico – e tutto occidentale – sembrano allontanarsi sempre più dalla semplice rappresentazione della dormiente Notte di michelangiolesca memoria. Come racconta il capolavoro cinematografico di Scorzese, Fuori orario accadono misteri, metamorforsi e metaracconti, per natura distinti dall’ordinario attraverso contorni sfumati: di notte la messa a fuoco richiede dilatazione , uno sforzo continuo per distinguere illusione e realtà.
L’affondo nella notte ci è utile ad approcciare un fenomeno urbano che sta guadagnando crescente interesse da parte di ricercatori, policy maker e cittadini, cioè la movida. Come ci ricordano gli autori di questa ricerca si tratta di un tema antico della città ma, più in generale, del vivere insieme che oggi assume caratteristiche nuove e ancora troppo poco studiate. La profondità di questo gap si evidenzia soprattutto nel confronto con l’immenso portato politico delle questioni urbane toccate dalla movida. Sicurezza, decoro e ordine pubblico orientano un approccio regolatorio dell’urbanistica, le cui contraddizioni sono rese evidenti con l’acuirsi delle logiche di controllo dello spazio pubblico nella pandemia.
Alle ordinanze anti-movida che già attraversano l’Italia pre-Covid-19, le misure di contenimento del contagio aggiungono ulteriori restrizioni alla vita collettivo-culturale portando alle estreme conseguenze tendenze già in atto. Nel centro romano, il transennamento della fontana dei Catecumeni a piazza della Madonna dei Monti fa eco alle più discusse norme anti-bivacco (2019) imposte dalla ex-sindaca Raggi su piazza di Spagna, negando la possibilità di sostare sulla celebre scalinata. Ponendo l’accento sulle retoriche del degrado che affliggono soprattutto i contesti storici delle città, la recente iniziativa (luglio 2021) proposta da Christian Raimo, De Gradino , riporta alla memoria l’ironia poetica dei Beat 72 che attraversava le estati romane di Renato Nicolini tra gli anni ‘70 e ‘80. Oltre a testimoniare il potere trasformativo della città effimera, la lezione della crew romana racconta di un avvicinamento critico alla vita urbana il cui interesse risiede negli interrogativi che pone rispetto a temi centrali per il mondo contemporaneo: cultura, divertimento, innovazione ma, soprattutto, una concezione aperta di patrimonio culturale che ancora fatica a trovare legittimità e realizzazione.

Come per l’Estate romana, l’origine della movida a Madrid è espressione di fermento intellettuale e artistico, di gesto radicale e liberatorio da momenti storici di forte oppressione (gli anni di Piombo in Italia, quelli della dittatura Franchista in Spagna). Quello che ne consegue dunque è un approccio “eretico” all’esistente e alla trasformazione dei contesti storici che interessa non tanto e non solo i modi e gli spazi del divertimento ma piuttosto la città tutta. Oggi, le estetiche della movida oscillano tra appiattimento e perturbamento delle culture locali sollevando questioni di aggiornamento della città, e più in generale dei modi del progetto a cui si chiede di rispondere a un’unica regola non scritta: la gioia si esprime veramente solo quando si convive tra diversi. Tuttavia, con la stabilizzazione della movida, diventata di fatto fenomeno routinario, perlopiù scollegato da forme di produzione culturale, l’emergere dei contraccolpi della malamovida si alimenta anche di quel torpore che è spesso proprio delle città medie, generato da presenze, abitudini, stereotipi sempre uguali a sé stessi. Se l’approdo della movida a Perugia, Terni e Foligno sembra realizzare la profezia di una civiltà del tempo libero, completamente urbanizzata-capitalizzata, è tuttavia nell’architecture de la jouissance che Lefevre individua il luogo dove i corpi ritrovano un proprio diritto all’uso, radicato sulle regole di un abitare che fa propri i caratteri notturni, posizionato a metà tra realtà e immaginazione. L’irrisolvibile campo di contraddizioni che caratterizza la movida descrive quindi un potenziale luogo di (ri)costruzione della sfera comune, affermando per mezzo di pratiche collettive di riappropriazione, l’imprescindibilità dello spazio pubblico. Fare festa, in altre parole, è atto puramente fisico, rifiuto ultimo di ogni surrogato di vita virtuale.

Le differenze che contraddistinguono le urbanità delle tre città umbre trovano quindi convergenza in forme di produzione spaziale che fanno leva sulla dimensione evocativa dell’architettura, contrastando l’astrattezza di utopie posticipate con la piena esperienza del presente. Attraverso spazialità da sogno , più o meno posticce, il tempo della movida racconta anche dei poteri curativi dell’ozio, cioè di virtù ri-energizzanti tanto di persone che di luoghi, questi ultimi troppo spesso investiti da traumi importanti come quelli legati alla de-industrializzazione (Terni) o a catastrofi naturali (Foligno).
Nell’immaginario comune, tuttavia, le potenzialità rigenerative della movida risultano ampiamente oscurate dalle dinamiche di una geografia dello sballo che richiama l’urgenza di risposte politiche creative, capaci cioè di superare le (facili) tentazioni razionalizzanti dalla norma. Se il divertimento diventa sempre più componente imprescindibile e sana del discorso urbano, lo svanire della sua effervescenza genera anche il giusto disagio di una maturità ostinata che, nel celebrare la vita con modi non sempre condivisibili, si immerge nello spazio per interrogare di nuovo il perpetuo ritorno del giorno. Sentinella, vedi che succede nella notte?