Quanto Arbasino continui a gettare energetiche luci sui tempi grigi e ammalati che stiamo
vivendo, Stile Alberto, il bel libro di Michele Masneri, ben lo testimonia, e — va subito detto — libro nel libro sono le immagini che vi entrano
con il corredo di utili e puntuali didascalie. Più
che dalla copertina, Arbasino piange gli occhi
di Maria Callas realizzazione di Francesco
Vezzoli su scatto di Paolo Di Paolo, l'atmosfera arbasiniana è restituita dalla varietà dei ritratti fotografici (a firma di Paolo Di Paolo, Giovanna Silva, Bianca Riccio, Alessandra Baduel, Vito Panico e dello stesso Masneri), dalle
riproduzioni di manoscritti, frontespizi e copertine di libri, dai dettagli di vestiari e di oggetti,
dagli interni con zumate sui particolari della casa romana di Via Gutturnio con i libri e gli arredi: sono fondale e cornice di un personaggio
che si era creato finemente il proprio mondo. E
poi i manifesti, articoli di giornali, manoscritti, ritratti del suo entourage mondano e artistico.
Masneri conosce e frequenta relativamente
tardi Arbasino ma sa introdurre il lettore-spettatore in punta di piedi e insieme con efficacia in
quel mondo ricco di suggestioni. Il mondo artistico, politico e mondano italiano era stato 'catalogato' dallo scrittore nei Ritratti italiani del
2014: in copertina la bellissima fotografia di
Marisa Rastellini ritraeva il giovane Arbasino in
lettura, languidamente disteso sul divano di casa. Quello americano entrava nel poderoso
America Amore del 2011, beffardo birignao
all'America amara di Cecchi: un riepilogo brillante, non privo di venature di rimpianto, delle
sue esperienze d'oltreoceano raccontate da
par suo. Il libro di Masneri permette di guardare l'intera pellicola di una vita esemplare di un
capitolo di storia del costume nei decenni centrali del ventesimo secolo. Il tempo sempre più
in accelerata velocità — sembra dire — ha fatto
perdere per strada, oltre allo stile, numerosi
pezzi. Basti pensare al mondo gay o alla Roma
di quegli anni, vitale e scintillante, così ormai irreparabilmente lontana... In questo scorrere di
fatti e di immagini emerge lo scrittore e intellettuale anomalo nel panorama italiano, con le
sue idiosincrasie e i suoi slanci trattenuti (la venerazione per Gadda, testimoniata largamente
nella sua opera e l'ironia sui `nipotini dell'ingegnere'), sempre attento a non perdere il suo
aplomb, la sua maschera di imperturbabilità
che in alcuni scatti fotografici lascia invece intrawedere una profonda malinconia. Lo riconosciamo nel suo far parte per se stesso, come
nel Gruppo `63 a cui aveva aderito, la sua
sprezzatura altera, il signorile isolamento degli
ultimi anni segnati dalla perdita degli affetti più
cari e infine dalla malattia. Non era un trascinatore, Arbasino, e non era facile intervistarlo in
pubblico, la stessa scrittura tendenzialmente
barocca dei suoi reportages (ma "barocco è il
mondo" diceva con lui Gadda) ha spesso messo a dura prova il lettore più affezionato.
Masneri lo racconta circumnavigando il suo
mondo il cui perno fondamentale resta Fratelli
d'Italia, ne segue la biografia intellettuale, i
molti fili della sua vita, le sue predilezioni letterarie, le esperienze politiche, mondane e giornalistiche, la ricercata eleganza nel vestire,
specchio di una ben più profonda ricerca. Tra
le pagine più intense nella folla dei personaggi
che salgono e scendono dal palcoscenico di
questo libro, ci sono quelle riguardanti Pasolini
(bellissima la foto di Di Paolo a p. 83): i primi timidi tentativi di Arbasino poeta sono commentati dalla stupenda lettera (riportata alle pp. 102-3) in cui Pasolini gli scrive, severo fraterno giudice: "c'è più effervescenza che fervore, più
spigliatezza che bravura". E rimprovera l'eccesso di citazioni, assimilate senza sforzo linguistico, atteggiamenti e stile figli — gli dice,
scusandosi della sua `assoluta sincerità' — "di
un certo provincialismo [...] Rilegga queste
Sue pagine e vi vedrà un continuo prevalere
(provinciale giovanile) del problema sessuale e
del problema della riuscita letteraria". È una lettera esemplare, di quelle che oggi quasi nessun aspirante scrittore saprebbe accogliere
con gratitudine. Per Arbasino quella lettera è
stata l'avvio di un'amicizia che solo la tragica
morte di Pasolini interrompe lasciando, come
avverte Masneri, strascichi interessanti, se letti oggi, attorno a Petrolio e al finale dell'ultima
edizione di Fratelli d'Italia (Adelphi, 1993).
Nel '60 Arbasino scrisse che Flaiano era
uno degli uomini più amari e brillanti del nostro
paese (lo scritto entra nel volume del 1999 La
scrittura infinita di Alberto Arbasino, Interlinea): potrebbe sembrare un autoritratto a distanza. Aggiungerei — come su questa stessa
rivista ho avuto modo di scrivere — che pochi
come Arbasino hanno avuto il privilegio di poter offrire la storia della propria vicenda di uomo di mondo e di intellettuale alle giovani generazioni con la ragionevole certezza che ne
faranno buon uso.