Rem Koolhaas è un autore che in ogni lingua assume forme diverse. Per sua stessa ammissione è difficile scrivere in olandese, mentre il francese e l’inglese sono le lingue preferite dei suoi appunti. In italiano finora l’ho sempre trovato poco convincente, nonostante un mio innegabile amore per il suo pensiero. Un esempio per tutti, Delirious New York funziona straordinariamente in inglese, frasi brevi e taglienti; in italiano non ha la stessa verve, passa dall’essere ‘tranchant’ ad apparire apodittico. Manuel Orazi ha appena curato per Quodlibet la raccolta di scritti Testi sulla (non più) città, tradotti da Fiorenza Conte. Provocatorio come sempre, Orazi ha scelto un titolo letterale che tradotto non appaga, per un libro che invece è meraviglioso, divertente, da leggere in fretta.
Il testo, riorganizzato in italiano in frasi lunghe lessicalmente articolate e ricche, ci regala una versione inedita di Rem: è lui, ma parla in italiano. In questo modo succedono due cose, oltre a molte altre. La prima è accorgersi che tante sue parole – arcipelago, naturalizzazione, cintura verde – ricorrenti (trent’anni dopo) nel dibattito contemporaneo italiano, sono diventate vuoto slang e sono ormai avulse dal contesto critico elaborato da Koolhaas. La seconda è che nel brano sul viaggio per l’Architectural Association a Berlino sembra di leggere una sceneggiatura neorealista, in cui Peter Smithson, Charles Jenks e Cedric Price sono i protagonisti persi nel campo lungo delle descrizioni del Muro, nel paesaggio urbano che è protagonista nei film di Roberto Rossellini e nelle osservazioni dell’autore. Leggere il saggio Atlanta in italiano è un’esperienza nuova, in cui Koolhaas non è più ‘anglosassonemente’ cinico quando visita gli studi dei ventiseienni architetti locali, ma un curioso ‘flaneur’ con una capacità analitica e di sintesi godibilissima, che pervade tutti i brani dell’antologia.