Recensioni / La vita dei concetti

Dei percorsi di ricerca quando sono in grado di essere espressione delle molteplici ragioni del reale senza mentire su di esso, come ci ha insegnato Simone Weil vero e proprio ‘cuore pensante’ delle ivi insite e inevitabili contraddizioni, e di darne le giuste dimensioni concettuali vivendole come profondi ‘eventi di verità’ a dirla con Alain Badiou, prima o poi attirano l’attenzione dei vari studiosi e soprattutto dei più giovani fra di essi che ne hanno saputo coglierne nelle pieghe più intime l’esprit profondo che li pervade con l’andare oltre gli ambiti in cui hanno preso piede; è il caso dell’ultimo lavoro di Pierpaolo Cesaroni dal significativo titolo La vita dei concetti. Hegel, Bachelard, Canguilhem (Macerata, Quodlibet Studio, 2020), dove vengono interrogati i contributi di tali autori estendendoli dal piano più epistemologico a quello politico, dopo una serie di altri studi dedicati al percorso hegeliano, ai rapporti tra politica e filosofia in Foucault. E su questa linea interpretativa è da aggiungere la cura di una nuova edizione italiana, con altri, di alcune opere fondamentali di Alain Badiou, come L’essere e l’evento e Logiche dei mondi, un autore quest’ultimo al centro di un rinnovato interesse critico per la particolare lettura del mondo delle matematiche (cfr. Thinking the Infinite. Penser l’infini in «Filozofski vestnik», vol. 41, 2, 2020 con scritti dello stesso Badiou e di altri come Charles Alunni e Ferdinando Zalamea), aspetto questo che specialmente in Italia non ha ricevuto la giusta attenzione anche se è stato tradotto il suo Elogio delle matematiche del 2015, dove viene ribadita la loro centralità.
Pur essendo il lavoro di Cesaroni finalizzato a chiarire la natura dei concetti in uso nella filosofia politica e soprattutto ‘il problema del rapporto fra il vitale e il sociale’, esso nella prima parte ci offre un non comune quadro storico-concettuale di quel particolare sbocco a cui approdò parte della filosofia francese del primo Novecento; e questo fu possibile quando, a dirla con Emile Boutroux, si cominciò a prendere in esame non più l’Essere ma il divenire dell’esprit nelle sue diverse esplosioni concettuali intraviste nell’ambito delle varie scienze a partire dalle matematiche, come avvenne ad esempio nella Revue de Métaphysique et de Morale. Tale importante rivista, ancora esistente ed oggetto in questi ultimi tempi di specifici studi orientati capirne il ruolo centrale tra ‘800 e ‘900 eeurope, vide la luce nel 1893 ed il coinvolgimento di diversi filosofi e dei maggiori matematici dell’epoca da Poincaré a Hilbert e Russell; l’obiettivo teoretico comune fu quello di superare la ristretta visione positivistica della scienza ed in particolar di gettare le basi di una philosophie mathématique non più normativa, ma legata all’analisi dei processi di trasformazione dei concetti scientifici e di una filosofia più in generale attenta ai ‘cambiamenti qualitativi discontinui’ ivi presenti, come li chiamava quella figura di matematico ed epistemologo italiano Federigo Enriques che ebbe stretti rapporti con tale rivista e che nei Problemi della scienza, opera del 1906 e subito tradotta in varie lingue, arrivò sulla scia dei pochi frammenti filosofici di Bernhard Riemann a parlare di ‘travaglio dei concetti’ da indagare sul terreno storico.

Si venne così a svilupparsi una epistemologia orientata in senso storico, chiamata giustamente da Cesaroni vera e propria ‘epistemologia dei concetti’ col compito primario di indagare con nuovi strumenti ermeneutici quella che chiama ‘vita dei concetti’, il loro nascere, svilupparsi e soprattutto trasformarsi con l’impatto sulla stessa ‘impalcatura concettuale’ della filosofia come la chiamerà Gaston Bachelard; attraverso tale lente interpretativa, condotta in modo articolato con una conoscenza di prima mano delle opere di più protagonisti del primo Novecento e arricchita dell’apporto di altre non secondarie figure del secondo Novecento francese come Jean Desanti e Alain Badiou, vengono affrontati i decisivi contributi prima di Gaston Bachelard, nel suo confrontarsi con un’ottica diversa dalla filosofia della scienza standard, con i cambiamenti in atto nelle matematiche a partire dalle geometrie non-euclidee e nella fisica e poi il percorso avviato da parte di Georges Canguilhem nei riguardi delle complesse problematiche emergenti nel campo delle scienze della vita. I decisivi contributi di questi autori, oggi anche se con un certo ritardo, sono da più parti riconosciuti come originali e strategici e hanno portato in questi ultimi anni alla riedizione critica di molte loro opere con traduzioni in diverse lingue e alla pubblicazione, ancora in corso. di tutta l’Opera omnia di Canguilhem, operazioni culturali che stanno aiutando a capirne la centralità nel dibattito filosofico-scientifico francese da Althusser a Foucault e non solo, come si evince dalle ricerche sulle varie anime dell’ epistemologia storica condotte presso il Max Planck Institute. Alla luce della bibliografia critica più aggiornata, vengono scandagliate in profondità da parte di Cesaroni convergenze e divergenze tra queste due figure e nello stesso tempo consonanze e distanze con la filosofia di Hegel, a sua volta filosofia del concetto e metabolizzata attraverso la lettura delle indicazioni di Jean Hyppolite; oltre a gettare, dunque, uno sguardo non usuale sul poliedrico pensiero bachelardiano di cui si sondano diverse potenzialità per altri campi e di vedervi “uno specifico modo di praticare la filosofia”, il lavoro si concentra sull’analisi del ruolo strategico dell’apporto del pensiero di Canguilhem per arrivare a delineare le basi di “una filosofia intesa come epistemologia dei concetti” e di quelli politici in particolar modo.
In questo percorso, “la guida sarà rappresentata dalla riflessione epistemologica di Canguilhem” che da una parte è ritenuta in grado di cogliere “la continuità fra gli ambiti del vitale e del sociale”, come quando si parla di ‘costituzione’ sia in ambito sociale che dell’organismo, con l’individuare un altro “elemento di prossimità tra la vita e la politica” come “la peculiare resistenza ad essere comprese nella forma del concetto”; e la sfida teoretica ed esistenziale insieme è proprio questa come a partire da tale resistenza “devono essere pensate la vita e la politica” e come “deve essere pensato il concetto in quanto è concetto della vita e della politica”, L’obiettivo è quindi cercare di stabilire l’autonomia in campo epistemico dei concetti politici e delle norme rispetto a quelli biologici con individuare gli scarti e le differenze; e quello che viene definito “attraversamento del pensiero di Hegel, Bachelard e Canguilhem” serve a fare chiarezza sul campo specifico dei processi di concettualizzazione sempre necessari in tale campo per non rimanere nel vago e “a inquadrare l’orizzonte entro il quale si dà tale produzione” per affrontare “il problema dello statuto epistemico dei concetti politici e del nesso fra politica, scienza e filosofia”.
L’aver tratto utili indicazioni dai contributi dati da Canguilhem alla comprensione critica della tecnica e della macchina, capitolo non secondario presente in Francia prima grazie alla tradizione positivistica e poi agli studi di Jean Lafitte negli anni ’30 sulla meccanologia e a quelli successivi di George Simondon e di François Russo, studi che hanno portato ad una vera e propria filosofia della tecnica o meglio ad una pratica epistemologica degli stessi concetti tecnici, ha permesso a Cesaroni di dedicare nella seconda parte pagine interessanti ed illuminanti al problema del rapporto tra società e macchina, al concetto stesso di sovranità, di regolazione col mettere in risalto i limiti ed i rischi “tanto della rappresentazione macchinica quando di quella vitalistica del sociale”; nello stesso tempo si sottolinea che è necessario sia tenere conto del sociale che del vitale per produrre “una effettiva conoscenza del sociale”. Ed in più si arriva a sostenere “che la conoscenza ‘biologica’ del sociale, cioè lo studio delle sue omeostasi compiuto da saperi come la sociologia o il diritto, è l’unica possibile conoscenza (o designazione di esso), così, come lo è, per il vivente, la conoscenza fisico-chimica”.
E nel capitolo ‘i concetti della politica’ si rivela ancora più pertinente, proprio per mettere in evidenza i processi conoscitivi in atto in tale campo, un’altra categoria del pensiero epistemologico di Bachelard, mediato da quello di Canguilhem, quella originale e fondamentale di ‘ostacolo epistemologico’, servita al filosofo della scienza d’oltralpe per indicare i vari ostacoli di qualsiasi natura che intervengono nei processi conoscitivi, sia interni alla scienza stessa che esterni; così il paradigma macchinico sembra avere la “funzione di ostacolo epistemologico’” nei confronti della politica. Ma “il campo epistemico della politica” si distingue per il ruolo strategico assegnato alla giustizia ma solo “pensabile mediante concetti orientati da un’altra categoria: quella di governo”. Sfruttando ogni possibile nuance del discorso del pensiero di Canguilhem presente nell’importante saggio Problema delle regolazioni del 1955, Cesaroni, oltre ad alcuni limiti, ne evidenzia “il riconoscimento della singolarità del campo epistemico della politica” , per l’accento posto sulla cosiddetta “saggezza sociale” dove è importante comportarsi in modo saggio tenendo presente “l’identità fra la norma e il suo ‘meglio’”, cioè “diventarlo’, e non un ‘esserlo’”; ma ciò che più eredita dalla tradizione epistemologica francese è il fatto che “i problemi che di volta in volta l’episteme politica si trova ad affrontare, così come le istruzioni concettuali chiamate a fornire una soluzione, sono sempre differenti e non possono in alcun modo essere generalizzate” con allontanare così ogni rigurgito di stampo assoluto, poi anticamera di posizioni totalitarie.
Così è stata data una doppia vita alla ‘vita dei concetti’, col dare loro dei volti nuovi che, pur essendo nati in un contesto teorico ben definito, si sono rivelati fecondi in altri campi sfruttandoli al meglio e per capire il loro modo di trasformazione concettuale grazie ad ulteriori eventi di verità; e ancora una volta si prende in prestito da Bachelard un’altra non secondaria idea, quella di ‘sorveglianza epistemologica’ per essere più allertati nel prendere atto che non esiste un modello unico di scientificità, “che l’esercizio della scienza non è solo la continua creazione di concetti, ma anche di nuove modalità di concettualizzazione e di sempre nuovi campi epistemici. Non la vita del concetto, bensì la vita dei concetti” nei loro processi di ‘concettualizzazione progressiva’ come li chiamavano prima Riemann e poi lo stesso Enriques, non a caso tenuti entrambi in considerazione da Bachelard. In tal modo, come auspicato a più riprese da Pierpaolo Cesaroni, “si mantiene aperto lo scarto tra la scienza” l’epistemico, cioè i risultati conseguiti in un determinato ambito conoscitivo, e la stessa filosofia concepita come epistemologia e “sorveglianza epistemologica” dei concetti che hanno bisogno di una necessaria metabolizzazione per non cadere in posizioni astoriche e normative che poi fanno facilmente da supporto ad ideologie assolutistiche sempre in agguato.
In tal modo esce fuori la dimensione politica in senso lato della riflessione epistemologica che, nell’entrare come diceva Bachelard nel tissu vivant delle scienze e nel loro essere pensiero, pensée des sciences, e nella ‘vita dei concetti’ nel senso proposto da questo lavoro, si ottengono dei ‘rimedi razionali’, come li chiamava quella figura femminile francese che fu Hélène Metzger, testimone della ragione scientifica verso Auschwitz, per far fronte alle posizioni sia di natura scientista che a quelle dell’antiscienza, posizioni che indeboliscono il senso critico dell’esprit umano col renderlo vittima delle sue stesse assolutizzazioni.