È ai margini di Roma, nelle
periferie fratturate da degrado e speculazione edilizia tra i caseggiati anonimi
abitati dall'uomo monade che
brulica la nouvelle vague
dell'arte capitolina. Nel centro
storico, del resto, cuore pulsante dell'arte nei ruggenti anni
Sessanta, quando tra i tavolini
di «Rosati» Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli e Pino
Pascali si incontravano con
Goffredo Parise, Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia, le botteghe artigiane e gli atelier hanno lasciato il posto a paninerie,
boutique e jeanserie.
E i prezzi sciagurati degli affitti
sono la ragione dello spopolamento (negli ultimi so anni il
cuore della città ha perso un
terzo dei suoi abitanti) e della
fuga in periferia (anche) di artisti in erba. Fenomeno quest'ultimo che ha determinato il materializzarsi di una Roma dinamica e in piena trasformazione
almeno dal punto di vista della
creatività. Una porzione d'Urbe, il suo quadrante orientale
in particolare, dove è ancora
possibile dividersi le spese in
atelier diventati spazio di coworking e do-ve i creativi stanno gomito a gomito ai cavalletti, ai torchi o ai tavoli del pc.
In particolare, gli ultimi due
anni di clausura forzata causa
pandemia, hanno determinato al di là delle Mura Aureliane
l'esplosione di una sorta di tsunami artistico come non si vedeva nella capitale dagli anni
Settanta. Se ne parla diffusamente in un libro che è anche
catalogo fotografico di grande
interesse: «Vera» (Quodlibet.
351 pagine 42 euro), a cura di
Damiana Leoni.
La pandemia ha, insomma, fornito carburante per ambienti
plurali dove i giovani artisti
non solo lavorano ma si confrontano, organizzano mostre,
pubblicano fantine, propongono incontri e workshop a ritmo
sostenuto, pro-ducendo
un'energia creativa impressionante. Luoghi alternativi al
mercato ma aperti al dialogo
con le istituzioni e tra loro interconnessi. Sono i cosiddetti artist-run spaces, «spazi emotivi,
esploratori di possibilità», come li ha definiti il filosofo Giuseppe Armogida e che nel volume vengono illustrati dagli
obiettivi di 4 fotografi (Eleonora Cerri Pecorella, Mohamed
Keita, Salvatore Nuzzi e Marta
Scorri).
Il libro è una mappatura per
testi ed immagini di 8 dimensioni indipendenti, 54 studi, 70
artisti italiani e 7 quartieri riconducibili, in una altra definizione, a quella «primavera
dell'arte emergente nelle periferie della capitale». La selezione è caduta su Castro (Contemporaly Art Srudios Roma) di
Trastevere, dove Gaia Di Lorenzo collabora con artisti, curatori e ricercatori italiani e su «Post Ex» di Centocelle, vecchia
carrozzeria tramutata in artist
space nel 2020 da sei emergenti con l'esigenza comune di
creare un luogo per lo sviluppo
di un'intelligenza collettiva.
E gestita da dieci giovani che
ospitano altri artisti in residenza. Selezionati anche «Spazio-mensa» con 5 artisti e due
curatori e «CityLab 971», nati
nell'autunno 2020 in una ex
cartiera sulla via Salaria che
hanno già lanciato molte iniziative tra cui il progetto «Roma
Nuda» e i format curatoriali
«Magnete» e «Tuorlo». «Officina», spazio condiviso da cinque creativi, è invece emersa al
Quadraro e attualmente vede
lavorare Paolo Assenza, Fabrizio Cicero, Katia Pugach e Germano Serafini.
A San Lorenzo, negli spazi di
una vecchia azienda, c'è «Ombrelloni», spazio espositivo
che accoglie vari studi d'artista, e «Numero Cromatico» a
San Lorenzo mentre a Pietralata ferve «Paese Fortuna», un
ex lanificio divenuto un incubatoio d'arte plasmato da cinque
artisti. «Condotto48» si trova a
Torre Angela mentre a «Spazio
In Situ», a Tor Bella Monaca,
operano undici artisti con
un'unica struttura organizzativa e uno spazio espositivo in
cui presentare mostre di artisti
emergenti con il sostegno
dell'Istituto Svizzero. Si è insomma al cospetto di un crogiolo creativo in cui si mescolano linguaggi diversi che hanno
residenza in quartieri fino a
non molto tempo fa caratterizzati da un anonimato incapacitante, luoghi spesso lontani
dai circuiti dell'arte, ma che
sono proprio ciò che offre alla
città elementi di novità, rendendola a suo modo ancora al
passo col contemporaneo. Gli
abitanti di questi spazi si chiamano Lulù Nuti, Marco Eusepi, Marco Emma-nude, Gabriele Silj, Dario Carratta, Diego
Miguel Mirabella e molti altri:
sono i cittadini di una Roma
diversa. «Artisti animati da un
vento nuovo, freschi, inusuali,
spesso infantili, irresponsabili
e irriverenti, che possono però
diventare saggi e profetici»,
spiega Armogida. Nessuno conosce il loro destino, ma questo libro li racconta in maniera
esemplare.