Una mattina, Guglielmo Sputacchiera si sveglia e, gregorsamsanamente, si accorge di essere diventato una donna. La premessa del romanzo d’esordio di Alberto Ravasio è, come l’organo femminile nella mente di chi non ne ha fatto la conoscenza, l’ingresso in un mondo che Altro non è, ma di certo lo sembra. Sepolto nella sua cameretta che ha accumulato la stratificazione della sua vita, delle sue passioni, e soprattutto dei suoi fallimenti, il trentenne si accorge di aver perso la sua croce e la sua delizia, «l’ago vibrante della sua bussola vitale»: il pene. Oggetto di ansie e di culto, l’organo di Sputacchiera pesa come un arto fantasma, ora che non c’è. Ma come spiegare la transessualizzazione alla madre, che insistente bussa alla porta, e, soprattutto, a suo padre? Cosa succede a ruoli incastonati nella roccia in un romanzo che si apre con una drammatica inversione? Il padre faro lontano di virilità, ammaccalamiere di professione, uomo di rango, che di fronte alla malattia mentale della moglie trova il tempo di preoccuparsi della futura impossibilità di averci rapporti sessuali. Quello stesso padre davanti al quale qualunque ragazzino adolescente teme come la morte di sfigurare, di apparire meno che uomo. Un padre che, già in tempi non sospetti, Guglielmo Sputacchiera evitava, uscendo dalla sua stanza come gli scarafaggi, gregorsamsanamente, solo quando faceva buio. Come spiegare a un padre così, IL padre, che suo figlio si è svegliato con un cazzo di meno?
Comincia allora la Sputacchiereide, la personale odissea del transessualizzato, fuori della sua camera e dentro il pantano ostile del mondo esterno, che già lo ha rigettato in passato.
Le correnti che si muovono sotto la superficie del paesello, sotto le edicole votive, sotto le campane a morto, vivo, Pasqua, sono i tasselli della educastrazione dello Sputacchiera. Il paese è: non condivide con la periferia l’anelito a farsi città, bensì «il paese, quando chiude gli occhi, sogna se stesso», in cui «tutto accade all’indicativo presente»; il paese è in perpetua ripetizione, riproposizione. Le persone che lo abitano sono trasformate matematiche l’una dell’altra, e al tempo stesso egregi stereotipi; danno vita a un mondo popolato da comprimari. Nessuno è protagonista, con buona pace di Guglielmo Sputacchiera, che difatti non esita a descriversi come parte di un gruppo a cui quasi tutti i giovani ormai sembrano appartenere: gli over-qualificati, che vagano, e che sono persi. Alla perenne ricerca dell’irraggiungibile femminile, infatti, Guglielmo Sputacchiera ha caracollato tra diverse facoltà, abile nell’assorbimento e inetto nell’applicazione; intelletto senza titoli, colleziona squalifiche, fallimenti e friendzone, una lenta corrosione de-mascolinizzante (almeno per quanto riguarda i ruoli stereotipati) il cui culmine rappresenta l’incidente scatenante del romanzo. La scoperta del Porno, la Pornogonia, appare come fisiologica inevitabile fuga in un alveo caldo e sicuro, come quello di carne che si cerca invano di conquistare. Ma il Porno è capitalismo, è ripetizione algoritmica dell’intrattenimento spersonalizzante; in cambio del proprio tempo (e di qualche clic su pagine sponsorizzate) frammenta la coscienza e ne mischia i pezzi, tanto che è impossibile poi ritrovare il bandolo della matassa, o almeno i tasselli d’angolo. L’apparente dominio sulla dimensione siderale della donna, che il Porno sembra garantire, non fa altro che sfilacciare i contorni della vita dello spettatore, comandato da quello che cercava di comandare, sfogato dalla sua valvola di sfogo. Quando Guglielmo Sputacchiera si mette davanti a uno schermo perde drammaticamente «l’uso desiderativo del corpo», un corpo che si fa progressivamente guscio estraneo, fino al capovolgimento.
L’incipiente misoginia, e la infantile tipizzazione del femminile in categorie che sia Sputacchiera che chi gli sta intorno applica, vengono spiegate posizionando uno specchio a 360° sul mondo circostante. Sono, ci viene narrato, «stronzate da uomo vergine». Il pantano catto-papista del paese, il mondo accademico, l’intellettualismo for intellettualismo’s sake, il capitalismo malato (cioè il capitalismo) dei guru della resilienza e della autodeterminazione, l’infinita tensione verso obiettivi di vita e di successo comandati e imprescindibili, sono i legacci che trascinano lo Sputacchiera nel suo viaggio; lui, abbastanza superiore da riconoscere gli inferiori ma non tanto da potersene distaccare; lui (o lei?) abbastanza colto da citare Memorie dal sottosuolo, e abbastanza incel da non accorgersi di esserne la riproduzione moderna. Il sottosuolo di Guglielmo Sputacchiera, a quanto pare, è uterino. È l’abbraccio della mamma o lo sguardo dell’amante? Guglielmo Sputacchiera comincia a essere donna dalla sua trasformazione, o la cosa si annidava sotto la superficie da prima? Mentre si adatta alla sua nuova vita Guglielmo è corteggiato dal misterioso compagno di giochi virtuali, il Negro, il «Golem sessuale», l’arché della virilità impenitente, il quale, anche lui da tempi non sospetti, impone la propria penetrazione nel gioco portato avanti da Sputacchiera, quest’ultimo sotto il nom de guerre di Carmela Pene.
La storia si intreccia per capitoli tematici, ognuno dei quali titolato, che snocciolano il passato e il presente di Guglielmo Sputacchiera, tra situazioni grottesche e nomi pirandelliani. L’umorismo, appunto, di Alberto Ravasio chi vi scrive lo battezza “la comicità dell’ossia”, nella quale il lettore si trova presentati per ogni battuta entrambi gli aspetti della punchline, come a guardare la boutade con uno di quegli specchi su braccio telescopico che servono a controllare che non ci siano bombe sotto le macchine; e non per questo il valore di tale scoppio finale dello scherzo ne viene diminuito. Anzi: il potere dell’accumulazione e giustapposizione di significato riesce a lanciare verso il riso talvolta per vertigine, come in un girotondo a mani giunte in cui il lettore è portato sia da chi lo precede che da chi lo segue.
Chi vi scrive ha avuto il piacere di vedere da vicino una delle prime incarnazioni sotto forma di racconto, uscito proprio su la nuova carne nell’apparentemente lontano marzo 2020, che rese totalmente inutile il lavoro di editing; ora La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera è in libreria per i tipi di Quodlibet, nella collana Compagnia Extra, a cura di Ermanno Cavazzoni; è un viaggio che risveglia domande di paura adolescenziale, vanterie da Rodolfo Valentino completamente inventate, sensazioni di gelo allo stomaco quando gli amici parlano di sesso e tu, vergine decorato, devi annuire o fingere gentiluomezza – “mi dispiace, ragazzi, per rispetto dell’altra persona mi tengo i particolari intimi”. L’incubo dell’oratorio ingigantito e bizzarro, che riflette su di noi e sui totem che erigiamo, tutti sessuali, o comunque sessualizzati.