«Quando t'ho conosciuto mi sembrasti un vero fenomeno, perché sapevi sognare e passare intatto tra le
brutture della vita pur conoscendo e
avendo saggiato aspramente le noie
dell'esistenza»: così confidava Eugenio Montale all'amico Sergio Solmi,
da Genova, nell'aprile del 1921. Entrambi giovani avidi di letture e letteratura, l'aspirante poeta ligure e il suo
alter ego torinese si erano incontrati
nel marasma degli anni di guerra, alla
Scuola d'Applicazione di Fanteria di
Parma alla quale erano stati destinati
nel 1917, scoprendo di condividere vocazione poetica e inquietudini morali.
L'amicizia nata tra le armi resistette al
conflitto e a duraturi periodi di lontananza, maturando in un sodalizio
umano e intellettuale lungo una vita
intera. Ne dà testimonianza il copioso scambio epistolare protrattosi per
più di sessant'anni, di cui sopravvivono 338 lettere, ora edite e illustrate
con cura intelligente e premurosa da
Francesca D'Alessandro.
Il nucleo vitale del carteggio si dispiega nella stagione tra le due guerre
— prima che la comune residenza milanese riducesse al minimo il ricorso
alla comunicazione scritta — ed offre
una prospettiva privilegiata sul primitivo costituirsi della voce poetica
di Montale, nella progressiva elaborazione degli Ossi di seppia, e sulla coeva
attività letteraria, critica e pubblicistica di Solmi, faticosamente preservata
a margine degli studi di diritto e della
professione d'avvocatura. L'ispirazione profonda e originale della poesia
montaliana si disvela fin da una lettera del febbraio 1919, nella quale il poeta riflette sul panorama contemporaneo e, a fronte delle sperimentazioni
d'avanguardia o dei ripiegamenti intimistico-crepuscolari, si mostra convinto che «versilibrisme, unità discorsiva, tono parlato, intimità ecc. ecc.
[...] possono ancora sposarsi a un pizzico di umanesimo e di castità formale» (Lettera 7). L'equilibrio che Montale insegue si gioca al discrimine tra
novità e tradizione umanistica, tra libertà e compostezza formale: «la soluzione del mio problema artistico è per
me un bisogno di risolvere tutte le antitesi e i dualismi nell'opera di bellezza», dichiara a distanza di pochi mesi
in uno scritto del gennaio 1920, comprendendo nel proposito non soltanto le alternative letterarie ma anche
le umane contraddizioni di un animo
ch'egli rivela ad un tempo «ingenuo» e
«complicato», «sentimentale» e «scettico», da «vecchissimo fanciullo» qual
è (Lettera 8). Per questo, di lì al mese di aprile sarebbe tornato a precisare
come l'ideale della bellezza non possa
in nessun modo coincidere con «l'idea
sensistica, edonistica» favorita dal culto «della Dea Arte e de' suoi sacerdoti», ma debba piuttosto contemplarsi
«da un punto di vista etico», che riconosca «il piacere massimo [...] nella virtù, nell'armonia, nell'equilibrio,
nella dignità»: «una sintesi di sentimento, pensiero, intuizione e cultura, valori umani e valori puramente
estrinseci» (Lettera 9).
Varcata la soglia degli anni Venti,
la corrispondenza accompagna allora
il prender corpo degli Ossi, in un andirivieni di testi che scandisce le fasi
di composizione della raccolta. Montale cerca di sottrarsi ai «panismi imbecilli» e alle «snervanti dissoluzioni
nel Tutto» del modello dannunziano
(Lettera 10), provando a fronteggiare
in modo personale e lucidissimo meraviglie e desolazioni del paesaggio
naturale e dell'esistenza animata: nascono così Riviere, che Solmi accoglie
sulla rivista «Primo Tempo» nel 1922,
o L'agave sullo scoglio, in cui l'intellettuale torinese ravvisa l'espressione di
una personalità poetica ormai matura, che ha il dono di «poter vedere
le forme della realtà nella loro individualità netta ed incantata, ma pur
commossa» (Lettera XIV, dell'ottobre 1922). E mentre introduce il poeta nel prestigioso circolo intellettuale
animato da Piero Gobetti, futuro editore degli Ossi, Solmi suggerisce con
lungimiranza prospettive di sviluppo
alla sua scrittura: «Ora non ti resta
che slargare e osare, [...] e introdurre
nuovi elementi umani» (Lettera XVI,
datata 21 gennaio 1923). L'intuizione
anticipa il motivo dominante del secondo tempo della poesia montaliana,
la presenza femminile che punteggia
di apparizioni e accensioni di speranza la trama delle Occasioni (1939),
e si rivela in perfetta sintonia con gli
sconfinamenti critici dello stesso Solmi, che nel dibattito intellettuale europeo cerca alternative all'idealismo
crociano, capaci di mettere in luce il
rapporto dialettico del testo letterario con il tempo storico e l'orizzonte
umano in cui si produce e propaga (ne
è esempio lampante l'attenzione per il
pensiero di Alain).
Attorno alle momentanee illuminazioni poetiche, d'altronde, si compone e modifica senza sosta una fitta trama di voci, relazioni e contesti
(puntualmente ricostruita nell'Introduzione al carteggio) che gli interlocutori commentano con toni ora
benevoli ora vivacemente polemici,
severi con le personalità dominanti
e attenti ai valori negletti, come dimostra il fecondo legame con Italo
Svevo. E nel rabbuiarsi dell'Italia fascista o nel turbine del rinnovato conflitto, quel controcanto confidenziale
— pur a poco a poco rarefatto — continuerà a concedere sfogo e conforto a due individualità straordinarie,
dignitosamente ai margini: ciascuna a suo modo, secondo l'immagine
con cui Montale si confessa (con pari
sconforto e fierezza) «un pezzo fuori dall'ingranaggio» (Lettera 47, del
giugno 1926).