«Non riesco proprio a capire (in tedesco) cosa sia un endecasillabo». Con disarmante candore Enzensberger confessava,
in una lettera spedita all'alba
dell'anno 1962, le proprie difficoltà nel calarsi in un lavoro di
traduzione poetica dall'italiano al tedesco, in cui il computo
delle sillabe - ma non solo quello - «più non torna». Il destinatario della lettera è Franco Fortini. I versi sono quelli della raccolta Poesia ed errore (1959).
Dai giacimenti inesauribili
dell'Archivio Fortini dell'Università di Siena emerge adesso,
grazie alle cure filologiche di
Matilde Manara, il carteggio fra
i due scrittori (Così anche noi in
un'eco, Quodlibet, pp. 182, euro
18). Dipanatosi fra il 1961 e il
1968, il corpus si compone di
ventuno lettere, sedici di Enzensberger, cinque di Fortini. Il
tema principale è quello della
traduzione. A Fortini, già riconosciuto traduttore di Brecht,
era stato affidato il compito di
curare un'antologia poetica di
Enzensberger per i tipi della Feltrinelli. A sua volta, lo scrittore
tedesco doveva tradurre Poesia
ed errore per Suhrkamp.
Da queste missive traspare una
differenza profonda di contesti
letterari e culturali. Non si tratta solo della difficoltà di conciliare ordini metrici qualitativamente distanti, ma anche di fare i conti con il ruolo decisivo
che la tradizione letteraria gioca nei versi di Fortini e che non
sempre viene decifrato dal traduttore. Scrive inoltre Enzensberger: «Ma alla storia Fortini
si è interamente votato» in virtù di un scelta che è «eminentemente politica e trascende il lavoro poetico» e che fa di Fortini «una figura esemplare per
gli intellettuali italiani. Senza
esempi, anzi inimmaginabile,
in Germania».
Più volte lungo il carteggio
l'intellettuale tedesco lamenta
l'arretratezza del dibattito filosofico e politico in Germania, rispetto a quello italiano, in cui
la dialettica interna al pensiero marxista appare ben articolata e di spessore. Fortini di
converso inquadra criticamente la poesia di Enzensberger
nell'ambito del «presentismo»
e del rifiuto della storia, ascrivendola al polo della natura:
«Della natura però, non della
naturalezza; del mondo animale, vegetale e minerale nella
misura in cui è estraneo agli
uomini, in cui prefigura ciò
che gli uomini potrebbero o
dovrebbero essere. Non dunque come vitalità potente; anzi ai confini della sonnolenza e
dell'indefinito». Ogni lettore
di Fortini può riconoscere in
queste brevi righe trame di
pensiero che in seguito si riveleranno fondanti nella sua poesia, finanche alla liminare Composita solvantur.
Uno dei momenti più intensi
del carteggio è costituito dalla
lettera in cui Fortini invia ad Enzensberger la parafrasi di non
poche liriche di Poesia ed errore,
in modo da fargli comprendere
meglio l'orditura metrica dei testi, il significato di alcuni passaggi ostici, i complessi riferimenti intertestuali che vi sono
sottesi. Appare infine notevole
l'influenza, anche indiretta,
che il lavoro di traduzione reciproca ha avuto sulla revisione
che Fortini farà di Poesia ed errore, nella cui seconda edizione le
esclusioni di vari testi ricalcano
proprio le indicazioni che egli
stesso aveva dato per il volume
in tedesco.
A conferma dell'estrema vitalità della figura di Fortini e
dell'interesse che la circonda si
segnala l'uscita di un nuovo volume di Giuseppe Muraca (L'integrità dell'intellettuale. Scritti su
Franco Fortini, ombre corte, pp.
122, euro 12), in cui si raccolgono saggi e interventi fortiniani
degli ultimi trent'anni, in alcuni casi rivisti e modificati.
I TRE GANGLI TEMATICI principali
indagati nel libro sono il rapporto fra intellettuali e potere
nella prima stagione della
guerra fredda; il Fortini interprete del neocapitalismo e teorico della contestazione degli
anni Sessanta; i termini della
contesa ideologica fra lui e Pasolini. Il primo nucleo di questioni si addensa attorno ai saggi
di Dieci inverni (1957), in particolare a quello con cui si apre la
prima sezione: Che cos'è stato «Il
Politecnico».
Fortini vi traccia un consuntivo di quella esperienza paradigmatica, facendo comprendere
quali fossero le gravi difficoltà
che incontrarono gli intellettuali non disposti ad arruolarsi
con nessuno dei poteri dominanti e intenzionati invece a «lavorare per mantenere aperti,
all'interno delle organizzazioni del movimento operaio, spazi di libertà per la ricerca e la discussione politica e culturale».
In Dieci inverni, Fortini mette a punto la riflessione sulla
funzione che deve svolgere
l'intellettuale marxista come
costruttore non tanto di una
letteratura nazional-popolare
da contrapporre direttamente a
quella della tradizione, quanto piuttosto di un «discorso indiretto». E uno snodo cruciale.
Siamo infatti nell'ambito della
gramsciana «organizzazione
della cultura cioè di mediazione e di critica razionale-scientifica, di abitudine alla complessità, di preparazione insomma alla libera lettura». Spiega bene
Muraca come per Fortini il critico materialista non deve solo interpretare le opere, ma «porsi il
problema della democrazia culturale, della «prospettiva politica», cioè deve istituire una relazione fra gli intellettuali e le classi subalterne, fra l'opera letteraria o artistica e la società».
Non siamo molto distanti da alcune celebri formulazioni critiche sul saggista come esattamente il diverso dallo specialista
che Fortini metterà a fuoco in Verifica dei poteri (1965). Già ora il
Nostro chiarisce infatti come
le grandi rivoluzioni culturali
si preparano quando lo «specialista» scientifico, filosofico, artistico, assumendo un'attitudine critica di fronte al proprio lavoro affronta gli interrogativi della propria «posizione» nella società e
nel tempo».
Dopo la crisi politica del 1956
Fortini dovette affrontare un periodo di isolamento, dal quale
seppe uscire però agli inizi degli
anni Sessanta anche collaborando con i piccoli ma combattivi
gruppi dei «Quaderni piacentini»,
fondati da Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi, e dei «Quaderni rossi», fondati nel 1961 da
Raniero Panzieri.
In questo quadro si innesta
uno dei testi politici più penetranti di Fortini: Lettera ad amici
di Piacenza (1961). Qui si vede bene come l'intellettuale critico
sia già cosciente di quali siano
gli sviluppi economici e sociali
cui va incontro rapidamente l'Italia delboom, stretta nella morsa fra neocapitalismo e un riformismo classista a quest'ultimo asservito. Fortini parla di
una «operazione 'Gattopardo'
su scala nazionale. Le riforme
entro le strutture esistenti».
L'Italia gli pare già irriconoscibile. E a farne le spese sono tutti, sia a Nord che a Sud, perché
il «mantenimento di zone di arretratezza è necessario alla
conservazione delle strutture
e conferisce carattere obiettivamente conservatore al progresso delle zone più evolute».
Le maglie dell'alienazione si allargano pericolosamente «nel
luogo di lavoro e fuori di esso
tempo libero)». E anche lo «specialista-intellettuale», perduta
ogni illusione di autonomia, si
ritrova «bruciato dalla partecipazione all'imbestiamento collettivo nella città moderna (comunicazioni, trasporti, ritmo
di vita), nei suoi consumi, nel
'crollo generale degli standard
culturali'». Come si vede, l'analisi critica di Fortini si sintonizza immediatamente, e con accenti premonitori, sui problemi più urgenti del nuovo contesto socioeconomico. Conunanticipo di almeno dieci anni rispetto all'amico-nemico Pasolini. E con una più ponderata capacità di affondo profetico.
La lettura del volume di Muraca ci consegna in particolare
una parola da custodire per il
nostro futuro così incerto; una
parola eminentemente fortiniana, che si sporge verso il lettore fin dal titolo: «integrità».
Se ne potrebbe rintracciare il
senso per noi più «urticante» in
questo passo tratto dal saggio ll
dissenso e l'autorità, stilato da Fortini in un momento caldo della
storia mondiale, nel maggio
1968. In esso si tenta di comprendere il valore più cogente
e intenso della lotta politica.
Su uno striscione dell'Università di Milano occupata si
legge a caratteri cubitali la parola «sempre». Fortini commenta: «Questo bisogno di durata, se non di eternità è il punto che certo unisce il combattimento per la salvezza della propria integrità con la più profonda esigenza dell'amore». Un'altra verità, questa, che la sua
opera ci impone di continuare a
proteggere.