Recensioni / Guglielmo si trovò in un corpo di donna

Fin dalle prime battute, si capisce che La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera di Alberto Ravasio non è un romanzo qualunque. Di sicuro è "irriverente". E non per il sarcasmo sparso un po' ovunque o per l'allure costantemente dissacratoria, ma perché è un'opera esteticamente interessante, originale, "alta" nel suo registro linguistico. Che è, allo stesso tempo, il suo punto di forza e di debolezza. Perché concede molto spazio allo scrittore, ma poco al lettore. Anche se è proprio allo stile a cui Ravasio si appoggia per donare credibilità narrativa alla storia.
Che, però, non annoia mai. E la curiosità di sapere come va a finire la vicenda del "transessualizzato" che una mattina si sveglia nel corpo di una donna, bullizzato dalla sua perenne inettitudine, non viene mai meno. E non è poco. Semplicistico accostarlo all'opera di Kafka. Più interessante ritrovare i prestiti - meno evidenti - da Buzzati. E poi, tra un neologismo e un altro, si ride molto (altro punto di forza).
Il protagonista, «aitante come un verme», a sei anni inizia la carriera da perdente, la cui via d'uscita, in età adulta, è la pornografia. La sua metamorfosi è la maschera dell'incomunicabilità. Con sé stesso, con chi ama, con chi brama. Con il contesto che un po' schiva e un po' anela. Centrale, il ritratto di quella provincia bigotta ed egoista, avara di sentimenti con i "diversi". Le domande senza risposta di Guglielmo - perfino i suoi pregiudizi («per i più brutti, la chiamata in seminari») sono quelle su cui a tutti è capitato di inciampare almeno una volta nella vita. I personaggi che ruotano intorno al protagonista, che non ha mai "incontrato" l'altro sesso dal vivo, sono surreali: la dottoressa, Amelia, la madre "matta", lo zio, Guido (unico soggetto positivo). Gente incapace di dare risposte. Per trovarle e fuggire da quel teatro disordinato, Guglielmo parte per un viaggio circolare in cui rincontrerà suo padre, simulacro di una mascolinità artificiale che non diventa mai affetto per il figlio se non per paradosso, e involontariamente, negli sconvolgenti fotogrammi finali. Qui, il dramma si ricompone e le colpe - anche quelle generazionali - vengono a galla. Un'opera prima bella e, per definizione, non perfetta

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