Nell'attuale crisi ideativa dei teorici della letteratura,
indotti dalle sfide del multiculturalismo a far prevalere sulla valorizzazione dei tratti stilistici e strutturali del
testo poetico configurazioni postcoloniali e di genere di
stampo più culturologico e socio-relazionale, il richiamo
alle ragioni della letteratura e al dose reading è stato preservato, in una chiave teorico-pratica, dallo sviluppo dei
Translation Studies. Questi ultimi hanno proseguito nel
solco dell'eredità strutturalista, diventando efficaci laboratori di stilistica in grado di offrire, a partire dalla prassi traduttiva, un risvolto più pratico agli studi semiotici,
come dimostra la recente riattualizzazione della semiotica del teatro varata da Alessandro Serpieri nel 1977 nel
volume Theatre Translation: Theory and Practice di Massimiliano Morini.
In una chiave più umanistico-letteraria, ma non meno
avvincente sul piano analitico, tra gli esiti più interessanti
di questo filone di studi in rapida espansione troviamo il
saggio di Franco Nasi, Tradurre l'errore, il quale adotta la
traduzione come metodo per addentrarsi, in tono lieve
e informato, nei saperi e nelle strategie retoriche che appartengono al bagaglio del letterato. Così, nel discutere
casi e fenomeni emersi nella sua pratica didattico-tradutriva, Nasi evoca il complesso di valori, significati, metodi e invenzioni che definiscono il testo letterario, prima
che venga trasferito nella nostra lingua. La sua prospettiva profondamente umanistica accentua il carattere compositivo della traduzione, in grado di rispondere con
nuovi costrutti alle sfide dell'originale, in uno spazio di
rielaborazione che non si affida a formule astratte o a
nuovi prontuari di prescrizioni ma al barthesianop/aisir
du texte che, nel resistere alle formule scientiste di molta
linguistica, si apre all'unicità inclusiva del fatto letterario.
Nelle mani esperte di Nasi, la pratica traduttiva è quindi soprattutto un viaggio nelle parole basato sul loro
ascolto empatico e appassionato, ma anche tecnicamente attrezzato. Tale consapevolezza formale trasforma
inevitabilmente il traduttore anche in critico e curatore
dei testi che riformula per il pubblico italiano. Ne è un
esempio la cura di Nasi del recente esperimento di traduzione a dieci voci della poesia O Capitano! Mio Capitano di Walt Whitman, pubblicato nel 2019 nella collana "DieciXuno" di Mucchi: una casa editrice non a caso
distintasi in passato per la diffusione delle più accreditate disamine di narratologia offerte dal panorama internazionale.
In definitiva, quel che si trae dalle pagine lodevolmente asistematiche di Nasi non è una teoria o un manuale a uso immediato del traduttore, ma il racconto delle
possibilità creative della parola poetica rivisitata alla luce
di una riformulazione che trasforma chiunque voglia cimentarvisi in un vettore rispettoso del tasso di espressivita del testo originale. In altre parole, la pratica di Nasi,
che saggiamente si appella al minimo spreco possibile di
risorse creative, esamina e definisce, prima da semiologo e poi da traduttore, i tratti distintivi del testo poetico,
per passare solo in seconda battuta alla scelta delle svariate soluzioni plausibili. I suoi laboratori sono, insomma, uno spazio critico di scrittura condivisa che aggiunge all'umiltà del traduttore la consapevolezza del critico.
In questo modo, ogni versione italiana non è frutto di
una matematica equazione su::erita dagli automatismi
della mediazione linguistica, ma si volge a un'ampia valutazione della vitalità estetica e degli strumenti retorici
messi in atto in ogni opera che si voglia traghettare nella
nostra lingua.
Se di storie e di teorie letterarie appare sempre più
povero il nostro panorama didattico ed editoriale, così ansioso di allontanare lo sguardo dall'unicità dei testi
letterari, Tradurre l'errore offre un valido e divertito correttivo a questa deriva, senza ricorrere a un catalogo di
versioni plausibili quanto al diario a tratti anche euforico e appassionato di un'avventura letteraria in forma di
traduzione. Quest'ultima ne emerge come una forma di
amplificazione pragmatica degli aspetti componitivi che
riportano al centro dell'attenzione la forza della parola
letteraria, illuminando le forme dell'invenzione poetica
e invitando gli allievi-traduttori ad assumere cautamente una veste non gregaria per prepararsi a quello che è a
tutti gli effetti un esercizio di compatibile reinvenzione.
Come spiegava Susanna Basso nel suo Sul tradurre,
per quanto inevitabilmente posto al servizio del testo
per scandagliarlo prima ancora di rielaborarlo in un'altra lingua, il traduttore letterario sa di dover affrontare
ogni elemento di cui si compone il testo, di cui si sforzerà di preservare le figure retoriche e le misure metriche
lo stile e le immagini, in un'avventura della scrittura che
postula il riconoscimento dei ferri retorici, prosodici, stilistici del mestiere dell'autore. Di questa prassi insieme
creativa e analitica, Nasi fornisce gli strumenti tecnici e
descrittivi da letterato formatosi a cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta, invitando a interpretare quanto si rielabora in un'altra lingua per realizzare appieno
queraderenza al lessico e alle immagini" (Specchi comunicanti. Traduzioni, parodie, riscritture) che in poesia è
possibile raggiungere solo nella riproduzione di "strutture metrico-ritmiche", ora chiuse e isometriche, ora aperte
e irregolari. La ricerca ritmica e perfino epifanica di questo massimo di "equivalenza dinamica" e di "corrispondenza lessicale" esalta nello scambio traduttivo gli aspetti distintivi dell'originale, trasformando la traduzione, al
pari della dialogicità del saggio di Nasi, in una pratica di
secondo grado lontana dagli automatismi e aperta a un
sapere letterario che fa più leva sul suo ampio bagaglio
di letture che sulle tecniche linguistiche in senso stretto.
A conferma della matrice umanistica di questo approccio alla traduzione letteraria si aggiunge la consapevolezza del grande valore libertario della letteratura, che
fa assumere ai laboratori di Nasi il carattere di una scuola
di scrittura capace di entrare in sintonia con esperimenti
pedagogici di forte impatto sociale e terapeutico. Come
si legge nel sottotitolo, questo prezioso volumetto si propone al lettore come un "laboratorio di pensiero critico
e creativo", in democratica sintonia con l'educazione alla
libertà di Gianni Rodati e del compianto Gianni Celati: due scrittori entrati in profondo contatto con l'ingegno inconsapevole dei più piccoli, dei più ingenui, degli
irregolari, dei disagiati e dei matti. Di questi marginali,
l'approccio ludico alla letteratura sa liberare l'immaginazione che, come l'inconscio, sfugge alle regole e si manifesta, al pari degli inceppamenti della traduzione, lungo i percorsi più imprevisti e disinteressati, nello stesso
spirito dei laboratori di animazione teatrale e letteraria
che, negli anni settanta, affiancavano il progetto di antipsichiatria di Basaglia. Ne è un'estensione davvero pregevole l'"atelier dell'errore" messo a punto da Nasi con
un gruppo di psicoterapeuti e di operatori sociali tra Bergamo e Reggio Emilia per potenziare le facoltà espressive
dei diversamente abili. Con loro il critico-traduttore dà
forma a un mirabolante atlante zoologico, a un bestiario
immaginifico di grande effetto, invitando a una pratica
ludica di scrittura che nasce dalla partecipazione e dalla
capacità di ideare, negli slittamenti di senso e a dispetto
dei margini, nuovi mondi fantastici, come richiede ogni
autentica azione poetica.