Sergio
Bettini nasce nel 1905 a Quistello. Si laurea a Firenze nel 1929
con una tesi su Jacopo da Bassano. Vince una cattedra giovanissimo.
Insegna Archeologia Cristiana, Filologia bizantina, Storia dell'
arte medioevale e moderna, Numismatica, Storia della critica d'arte
ed Estetica, Storia dell'arte mussulmana e copta. Dal 1939 al 1949
è direttore del Museo Civico patavino. Scrive sulla pittura
delle origini cristiane, su Giusto de' Menabuoi, su Venezia. E'
autore di una monumentale Storia dell'arte bizantina in sette volumi.
Dietro questo personaggio dai remoti, eruditi e molteplici interessi
si nasconde uno dei più raffinati conoscitori dell'architettura
antica e contemporanea. Tafuri, in Teorie e storia dell' architettura,
gli dedica ampio spazio riconoscendo che le sue analisi " precorrono
di decenni i temi oggi in gran voga". E Zevi lo cita a più
riprese nelle sue Cronache di architettura: a proposito del museo
di Padova, di un saggio su Palladio e di un contributo memorabile
sulla Palazzina Masieri di Wright. Lo stesso Zevi nel 1978 proporrà
un saggio di Bettini nella prima serie della Universale di Architettura.
Titolo: Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio. E nella seconda
serie, edita recentemente da Testo & Immagine, ripubblicherà
un lavoro del 1948: L'arte alla fine del mondo antico. Il testo
è accompagnato da 14 righe di commento e 9 di profilo biografico
di toccante intensità, ma anche di sicuro indirizzo critico.
Per Zevi, l' opera di Bettini, a quasi mezzo secolo dalla sua stesura
" si rivela fondamentale per la conoscenza dei fenomeni storici
ed estetici su cui si fonda la sensibilità artistica moderna".
I saggi apparsi in Tempo e Forma , scritti tra il 1935 e il 1977,
e editi dalla Quodlibet, affrontano argomenti a noi contemporanei:
si parla di Picasso, di Matisse, di Wright. E poi, vi sono numerosi
testi di taglio teorico: su arte e critica, sulla critica semantica,
sulle inquietudini della critica d'arte.
Ne emerge uno studioso di enorme levatura, attento alle problematiche
critiche più attuali e dotato di uno stile letterariamente
intenso e elegante.
Punto di partenza di Bettini è il rifiuto di qualsiasi semanticità
dell'arte, cioè di ogni interpretazione dell'oggetto artistico
come entità significante. Il linguaggio poetico - afferma
- non rappresenta, non riflette, non rimanda ad altro, è
presenza: decodificati tutti i significati di un quadro, di una
scultura o di un'architettura, non avremmo fatto un passo avanti
nel percepirne il valore artistico. Se l'opera d'arte vale, è
per una eccedenza del significante sul significato. Da qui una costante
polemica con Panofsky e con la scuola iconologica warburghiana,
protesa a individuare valori storici, simbolici e allegorici dell'opera,
ma spesso assai poco sensibile agli aspetti formali che soli distinguono
la grande opera d'arte dal modesto reperto archeologico. E anche
una certa assonanza con la estetica di Brandi che, negli stessi
anni, conierà il termine di " astanza" per indicare
l' irriducibilità dell'opera a qualunque contenuto che non
sia il suo essere "qui" e "ora".
Punti di riferimento di Bettini sono lo strutturalismo, sia pur
mediato dalla indagine formalista di Focillon, e la fenomenologia,
in particolare l' estetica del Silenzio di Merleau-Ponty. Di Focillon
l'appassiona la ricerca di forme che vivono e, perpetuamente movendosi,
determinano sintesi espressive diverse, ciascuna delle quali è
, a suo modo, assoluta. Di Merleau-Ponty l'interesse per la temporalità,
la gestualità del segno: " noi- afferma il filosofo
francese- non comunichiamo con la logica delle parole o col chiuso
del nesso linguistico fra significante e significato: comunichiamo
con quanto nelle parole vi é di gesto, di atto vivo e presente
che sventa il sillogismo aristotelico e, solo, 'dice' il nostro
indicibile tempo".
Per conciliare entrambi le prospettive di ricerca, Bettini conia
il termine di timing. Il timing è la capacità di una
struttura formale di pulsare, manifestando la propria vita. Ogni
epoca , ma soprattutto ogni capolavoro, ha il suo tempo: "
basterebbe - aggiunge Bettini- una variazione infinitesima del suo
'battere' per fare, del capolavoro, un'opera mancata".
Da qui quattro conseguenze:
Prima: l'arte in quanto morfologia del tempo ( cioè rappresentazione
del tempo attraverso lo spazio) registra il modo attraverso cui
l'uomo sente il divenire; è, in altre parole, la struttura
formale della storia.
Seconda : l'architettura, proprio perché pone l'osservatore
all'interno dell'opera esprimendo la temporalità attraverso
il fluire dello spazio, è l'arte per eccellenza. Nota Bettini:
non dovremmo , come quasi sempre si è fatto, guardare l'architettura
con gli occhi del pittore, ma viceversa, giudicare la pittura con
gli occhi dell'architetto.
Terza : la critica , per percepirne il tempo , deve cercare di mettere
a fuoco nelle opere d'arte quanto vi é di singolare , al
di là delle strutture linguistiche che le rendono comunicanti
tra di loro. Deve, in altri termini, dare uno statuto linguistico
non alla ripetizione ma alla differenza cioè, in ultima analisi,
all'ansia di libertà che struttura la ricerca degli artisti.
Quarta : si profila, per i critici, un lavoro improbo e senza fine
nel decifrare una materia artistica che è asemantica, ma,
al tempo stesso, piena di senso. "Nel nostro perpetuo muto
dialogo con l'arte- conclude Bettini- le risposte definitive non
esistono". Ma ciò ha, in definitiva, poca importanza:
quel che più importa "non sono le risposte, ma questa
stessa nostra infinita domanda, questa nostra infinita attesa di
apparizione".