Martina Mengoni è una delle principali studiose
di Primo Levi, autore a cui ha dedicato fra l'altro
due importanti volumi: Primo Levi e i tedeschi,
sulla corrispondenza epistolare tra Levi e i suoi
lettori in Germania (Einaudi, 2017, edizione bilingue), e I sommersi e i salvati di Primo Levi.
Storia di un libro (Quodlibet, 2021), esito di un
lavoro avviato durante il perfezionamento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Al carteggio leviano con interlocutori tedeschi e germanofoni è dedicato anche il progetto di ricerca
finanziato dall'European Research Council che
la studiosa coordinerà da settembre all'Università di Ferrara, dove attualmente lavora.
Professoressa Mengoni, perché è importante lo studio del rapporto epistolare tra Levi e i
lettori tedeschi?
«Primo Levi ha dedicato una buona parte del decennio 1959-69 alle corrispondenze con interlocutori tedeschi e germanofoni. Tutto è cominciato quando Se questo è un uomo è stato tradotto in Germania: il primo carteggio è quello
con il traduttore Heinz Riedt, che era stato partigiano a Padova e viveva a Berlino Est. Seguono
gli scambi con i lettori tedeschi del libro, alcuni
dei quali si trasformano in collaborazioni radiofoniche e editoriali, persino in amicizie. Si discutono temi come colpa, perdono, superamento del passato, memoria collettiva. Questi carteggi, che hanno riverberi su tutta l'opera successiva di Levi, rappresentano un unicum europeo: a questa altezza cronologica, infatti, non
abbiamo notizia di altri carteggi così vasti e ramificati tra un ex deportato ad Auschwitz, divenuto poi grande scrittore, e un gruppo nutrito di
interlocutori tedeschi e germanofoni».
Nelle pagine di Se questo è un uomo affiorano varie memorie dantesche. Qual era il
rapporto di Levi con Dante?
«Dante è uno dei riferimenti immaginifici e
strutturali con cui Levi si trova a pensare Auschwitz quando prova a raccontarlo: non è tanto
e solo il famoso capitolo del canto di Ulisse -
conclude la professoressa. Se questo è un uomo è raccontato come una catabasi, cioè una discesa agli inferi, e questo aspetto è comune a
molte testimonianze dell'esperienza in Lager.
Ma è anche grazie alla Commedia se Levi trova
una sua prospettiva, una sua lingua, una sua voce per renderne l'effetto straniante e grottesco.
Se dovessi scegliere un aspetto su tutti che Levi
attinge dall'armamentario dantesco, direi la dimensione morale e figurale dei personaggi di cui
ci restituisce la storia: i prigionieri di Auschwitz,
come le anime dell'inferno, acquistano un loro
significato morale peculiare, ulteriore rispetto a
quello storico».