In L’uomo che dorme, Georges Perec raccontava l’assopimento esistenziale di uno studente che la mattina di un esame, quando suona la sveglia, accetta l’indifferenza come via privilegiata per l’anestetizzazione della vita e il ritiro dal mondo. Torna in mente la storia raccontata da Perec, e altri prima e dopo di lui, leggendo il primo romanzo di Cristina Venneri: protagonista qui è una ragazza, Marta, che spostatasi in Sicilia per frequentare l’università vive una incapacità simile, quella di fare ciò per cui si è trasferita preferendo ciò che la compagnia e l’ambiente offrono. Quello che rende interessante questo racconto di Venneri, oltre a una scrittura che mescola con bravura i registri più diversi, è la capacità, tutt’altro che didascalica e invece perfettamente naturale, di fare di Marta un epifenomeno delle difficoltà che un’intera generazione si trova a dover affrontare. Corpomatto poi si riallaccia alle narrazioni famigliari che in molti esordi fanno capolino, ma anche in questa situazione la scrittura di Venneri riesce con linearità a collegare il tema a quello più generale di una generazione senza punti di riferimento non fermandosi semplicemente alla ricerca della protagonista di un passato rivelatore. Tornata a Taranto dopo il fallimento universitario, soffocata dentro un perimetro che non la lascia vivere, Marta dovrà proprio ripartire dalla storia famigliare e da ciò che brulica nel suo mondo originario per provare a trovare ciò che le manca nel presente, correndo anche il rischio estremo di far morire il proprio corpo.