Recensioni / Murri

Il tema centrale e, diremmo, portante, delle recenti polemiche aperte dalle gerarchie vaticane e da settori di laicato cattolico è la richiesta che il magistero della chiesa possa disporre di quell'adeguato "spazio pubblico" che le spetta e che le verrebbe negato da una cultura e da istituzioni impregnate di laicismo. Ma basta ripercorrere le vicende italiane dall'unità a oggi (tralasciando il ruolo risorgimentale del cattolicesimo liberale) per accorgersi che la chiesa e il suo laicato hanno sempre avuto – o si sono attribuito – uno "spazio pubblico" di assoluta rilevanza, a partire proprio dal Non expedit di Pio IX (1868): sotto Leone XIII nasce l'Opera dei congressi, Giuseppe Toniolo e Romolo Murri fondano e fanno crescere la Democrazia cristiana, fino al rovesciamento di posizioni imposto da Pio X e al Patto Gentiloni. Ma presto nascerà il Partito popolare italiano di don Sturzo, nel 1929 la chiesa otterrà il Concordato e, infine, nel secondo dopoguerra, nascerà la Democrazia cristiana di De Gasperi, Fanfani, Andreotti, ecc. Senza queste realtà di cattolici liberamente operanti nello "spazio pubblico", la storia d'Italia sarebbe assai diversa.
Tra le figure che più hanno dato forma a tale presenza c'è, sicuramente, don Romolo Murri, il fondatore della Fuci e della prima Democrazia cristiana. Murri fu anche fecondo saggista. Il breve testo che viene qui riproposto ci restituisce un momento tardo e drammatico del suo pensiero. Siamo tra la fine del 1942 e il febbraio 1943, dunque in piena guerra. Murri è già malato dell'edema polmonare che lo ucciderà un anno dopo. Da tempo non è più impegnato nel politico, ed è lontanissimo anche dall'esperienza radicale di deputato della Lega democratica nazionale. Attende invece con ansia alla trattativa con la Santa Sede, che gli riaprirebbe le porte della chiesa che lo aveva scomunicato. Questo emarginato solitario riflette ora sulle ragioni di una crisi che ha portato il cattolicesimo alle "condizioni presenti", segnate dalla "immane vicenda" di una guerra che vede crollare "una civiltà" mentre "i principi stessi della vita associata sono in questione". Come è possibile – si interroga – che la dottrina "rivelataci da Cristo, uomo e Dio", non abbia impedito "che si venisse a questo?".
Nella lettura di Murri, il cristianesimo è fondato sull'"impulso socializzatore", sull'"amore del prossimo", sulla realizzazione comunitaria della "giustizia del regno" di Dio. Ma questo primario impulso si è venuto via via "affievolendo" e nella comunità cristiana si è operata una frattura: il Cristo portatore del messaggio di "trasformazione radicale della vita associata" lasciò il posto a un Cristo miracolistico e messianico che veniva incontro "ai desideri di salvezza individuale, alle attese maturanti nelle religioni iniziatiche, alle prospettive di imminente palingenesi". Le "piccole comunità" alle quali Paolo affidava l'autenticità del messaggio salvifico vennero sostituite dalla "Chiesa romana" che lentamente si corruppe divenendo inadeguata al suo compito storico, perché consentì che "l'ingiustizia" avesse libero corso, fino al "regime della affermantesi borghesia industriale".
Murri non pone questioni di dottrina. Sul piano dottrinale, la chiesa è integra, la stessa chiesa tridentina e quella del concilio Vaticano I hanno difeso "fermamente e tenacemente" i principi del magistero (Murri critica Loisy e quanti hanno creduto di liquidare il cristianesimo mettendo in dubbio la "figura storica" di Gesù, appoggiando piuttosto François Mauriac e la sua lettura dei Vangeli "così come sono"). La "crisi della civiltà cristiana" "è frutto ed espressione di lunghe e gravi colpe commesse da più parti". Ma occorre non disperare nella possibilità di dar vita a una storia "veracemente cristiana", riscoprendo i tre valori insiti nel messaggio di Cristo: "sincerità, generosità, sacrificio". Ci pare che questo Murri, non più politico, non proponga che atti di fede e di comportamento pressoché individuali, forse insufficienti. E tuttavia le sue riflessioni rispecchiano bene un'ansia, una tensione profonda verso il rinnovamento ecclesiale.
La Francia cattolica – da Bossuet a Chateaubriand, da Léon Bloy a Bernanos a Maritain – è parte integrante del patrimonio nazionale; la tradizione culturale cattolica italiana è invece ostracizzata e marginalizzata, sia dalla cultura laica sia dalla chiesa, rigidissima nel mantenere sotto stretto controllo ogni manifestazione di spiritualità cristiana. La cattolicità italiana appare non inserita, e persino estranea, allo spirito nazionale.
La presente edizione del saggio è condotta su una copia, rivista e corretta dall'autore per una ristampa, ritrovata da Filippo Mignini presso la biblioteca di Gualdo, che accoglie tutti gli scritti di Murri. Il testo è preceduto da una eccellente introduzione filologica e storica, ed è corredato da una accuratissima ricostruzione delle vicende delle redazioni sulle quali si tormentò l'autore, oltreché di note esaustive e di una utilissima cronologia.