Il romanzo di Cristina Venneri, Corpomatto (Quodlibet), dimostra
quanto siano la qualità e la ricerca
della lingua la vera forza della narrazione. Corpomatto racconta la
storia di Marta, una ragazza fuori sede (è
nata a Taranto ma studia Lettere Classiche a Messina), alle prese con una famiglia disfunzionale — i genitori separati
e la madre con gravi problemi di alcolismo con un curriculum universitario
stentato, poca frequenza alle lezioni,
pochi esami sostenuti; e con una vita
sociale velleitaria e alcolica. A modificare, però, scenario di precarietà e disagio
giovanile arriva l'aggravarsi delle condizioni di salute della madre, che costringe la giovane a tornare a casa e segna il
tentativo di Marta di ricostruire il nido
domestico.
Tale è, per sommi capi, la vicenda che
Venneri snoda nelle sue pagine, in cui
vediamo fragilità esistenziali, disagio
familistico, precarietà lavorativa, sogni
artistici infranti; questa materia che di
per sé potrebbe suonare fin troppo
scontata è trattata dall'autrice in modo
nuovo, soprattutto per le scelte che opera a livello di taglio narrativo e linguistico. Il romanzo è condotto in prima persona ma Marta, più che essere la protagonista del romanzo, rappresenta il
cantuccio con cui l'autrice decide di
narrare le vicende familiari: il vero fulcro del romanzo, infatti, non è tanto la
vita alcolica e precaria di una studentessa fuori sede (di romanzi così gli scaffali
delle librerie ne contano millanta),
quanto la storia della madre, questa
donna fragile, piena di vita e di malattia,
piena di amore, di ironia, di sarcasmo,
irrimediabilmente viva, senza nessun
tipo di autorità, più figlia della figlia, e
del padre, professore di Lettere, che vive
l'abbandono della moglie come una
sorta di orfanità, narciso e vanitoso,
insicuro e bisogno di recuperare l'antico
equilibrio.
Marta, più osservatrice passiva. che
agente si trova nel
mezzo di queste tensioni e decide con
testarda determinazione di far tornare insieme la famiglia, di ricostruire ciò che era andato in fantumi; ora non si
veda in questo il desiderio di restituire
al lettore un quadro familiare in tinte color
pastello: Venneri non tace i difetti, le
ubbie, le problematiche di questo terzetto; anzi è abile proprio nel costruire
l'immagine della famiglia che pare destinata a perdersi, ma che nonostante
tutto, infine, come aggiustata dal nastro
adesivo, ritorna unita. II costo di questa
riunificazione lo paga Marta: il romanzo
è il referto testimoniale della morte dei
propri sogni, delle proprie velleità artistiche, esistenziali a favore di questo
equilibrio.
In ciò risiede la novità del romanzo,
Marta non riflette sulla propria precarietà, non racconta sé stessa ma guarda
all'instabilità dei propri genitori, pensando o illudendosi che il riunirsi della
proprio nucleo familiare possa rappresentare una concreta possibilità di vivere. La protagonista di Corpomatto è votata alla rinuncia anche la sua storia
d'amore, che rappresenta la sottotrama
del romanzo, è destinata al fallimento,
alla chiusura: Marta sa che la dedizione
con cui ha seguito la madre, con cui ha
ricostruito casa, non le può permettere
altro. Si autopreclude qualsiasi felicità,
coscientemente distrugge ogni gioia per
ritornare a essere semplicemente la
figlia, bisognosa di cure e affetto.
Corpomatto non è un romanzo generazionale, per presentandone evidenti
segni, ma è un libro sulla rinuncia e
sulla felicità dell'infelicità, dove a brillare è la lingua, per nulla giovanilistica,
ma complessa e stratificata, ricercata
nell'aggettivazione e nella sintassi; con
la scelta appunto di un io narrante che
nel farsi testimone del proprio smacco
esistenziale decide di essere ironico
quando il lettore aspetta serietà, di essere vago quando si pretenderebbe chiarezza, tragico quando invece si dovrebbe
suscitare riso. Pur con sbavature di trama, soprattutto nella costruzione del
rapporto amoroso, Corpomatto è un
lavoro che regala al lettore un testo
pieno di intelligenza compositiva e di
sensibilità, che fa ben sperare per il futuro.