Strano ma vero: ci sono
due grandi scrittori
del Novecento, un americano e un italiano,
che non hanno coltivato la propria rivalità
sul piano della letteratura bensì
su quello della postura sociale, delle vacanze e dell'amicizia con donne ricche, munifiche, eleganti. In
particolare, la reciproca antipatia
si accese nella conquista dei favori
e dell'amicizia di Marella Caracciolo di Castagneto, moglie di Gianni
Agnelli. È sulle barche a vela della
coppia, nella grande casa di Torino,nei palazzi delle principesse romane che Truman Capote e Alberto Arbasino si sono scrutati, dissezionati, disprezzati. A dire il vero,
mentre l'ironia urticante di Arbasino su Capote è documentata, delle
opinioni di Capote su Arbasino
non v'è traccia: probabilmente
non lo riteneva degno rivale, quantomeno considerando la propria
fama internazionale rispetto a
quella più limitata dello scrittore
italiano. Ma la cosa che qui ci preme raccontare è una sorta di "vite
parallele", per quanto distantissime, e di come queste due esistenze
eminentemente letterarie arrivarono a incontrarsi e confliggere.
Erano quasi coetanei Capote e Arbasino, entrambi gay, cosmopoliti, amanti del bien vivre. L'uno, scrittore che in patria aveva raggiunto
una popolarità seconda solo a
quella di Hemingway, era affrontabile senza sforzi anche da parte di
lettori poco coltivati, nella tradizione di gran parte della letteratura americana; l'altro era invece votato a lettori eruditi o che cercavano di esserlo,e che con lui ingaggiavano ardimentosi duelli a braccio
di ferro in cui a vincerla era sempre e solo Arbasino, perché aveva
visto, ascoltato, incontrato, assorbito più di chiunque altro.
Prima che Capote e Arbasino arrivassero a competere sul vischioso
terreno del jet set, avevano vissuto
esistenze antitetiche e, se vogliamo, analoghe agli stereotipi: gli
americani sempre un po' maledetti, spuntati dal nulla e gran consumatori di alcol, psicofarmaci e droghe; gli italiani invece di famiglia
borghese, con una base di licei classici e studi universitari.
Truman Streckfus Persons era nato a New Orleans ne11924. Lillie, la
madre, aveva 17 anni quando era
rimasta incinta del commesso Archulus Persons, tipico mascalzone
che tornerà a farsi vivo solo quando il figlio sarà diventato ricco e famoso. A 2 anni, il piccolo Truman
fu sbolognato a zie zitelle residenti a Monroeville, in Alabama, in seguito usate come materiale narrativo per i suoi primi racconti. Di
tanto in tanto, la mammina cara
lo prelevava portandolo con sé, e finiva poi per chiuderlo a chiave in
buie stanze d'albergo, mentre nella camera accanto si accoppiava
chiassosamente con maschi appena reperiti.
«Ho sempre avuto attacchi molto
estremi di ansia... È iniziato davvero quando ero bambino. Sono stato rinchiuso per lunghi periodi di
tempo e non sapevo quando qualcuno sarebbe venuto a farmi
uscire. Ha creato un tremendo
senso di ansia e non me ne
sono mai sbarazzato...
Questo è davvero il
motivo per cui ho
iniziato a bere
troppo. Era
l'unica cosa
che avrebbe fermato
il senso di
ansia»,
scriverà
poi Capote. A Monroeville,
1.300 abitanti tra cui la
sua
compagna
di giochi Harper
Lee, il biondo e paffuto
bambino inizia a scrivere brevi racconti. Divenuto adolescente
e già scrittore in erba, la madre lo
preleva e lo porta a vivere in Connecticut con il nuovo marito, Joseph Capote, immigrato cubano
venditore di lenzuola. La famiglia si trasferisce poi a New
York, e Joseph Capote adotta Truman. Marito fascinoso e infedele, il cubano si
prende cura del ragazzetto. La madre, alcolista e
soggetta a scatti di violenza, invece non lo
ama: è troppo basso, effemminato, con vocina
stridula. MaJosephviene inquisito per appropriazione
indebita e finisce a Sing Sing.
Madre e figlio ridiventano poveri, e lei si suiciderà col Veronal nel '54; a quel punto,
Truman ha 30 anni e da
poco ha pubblicato Altre
voci, altre stanze, ritratto
in parte autobiografico
di un ragazzo che cerca
il padre e la propria identità sessuale nel sud degli Stati Uniti.
Andiamo invece agli inizi di Alberto Arbasino,
nato nel 1930 a Voghera, cittadina lombarda
che allora contava poco più di 30mila abitanti. Primo di tre fratelli, padre farmacista, cresciuto in
un contesto borghese e istruìto, in una situazione patrimonialmente distante da casa Agnelli ma culturalmente imbevuta di
valori e mitologie simili. Lo racconta benissimo Michele Masneri nel suo trascinante Stile Alberto (Quodlibet, 2021): «Con la casa regnante ufficiosa di Torino c'erano connessioni—il collegamento sarà Marella, first lady riluttante e
intellettuale, ma prima ancora Franco Antonicelli, istitutore antifascista che aveva educato l'Avvocato ragazzino e che era un vogherese di casa dagli Arbasino. Tra Voghera e Casa Agnelli, al netto delle differenze di Pil, c'erano anche altre similitudini: il comune sostrato laico e atlantista, e lo sguardo ammirato-ironico di Alberto sull'ethos torinese-militaresco a cui apparteneva l'Avvocato».
Ma se l'infanzia e l'adolescenza di Truman erano state da manuale di psichiatria, come era andata in vece ad Alberto? Ecco una descrizione dei familiari, tratta da Fratelli d'Italia: «Non stanno mai zitti sui vari malesseri, scrivono tante condoglianze... Schizzi incessanti di acidità automatica da una stanza all'altra: sarebbe troppo comodo! fai le cose facili, tu! fai in fretta, come se fosse tutto semplice! eh, già potendo! non si può mica sempre tutto! sarebbero capaci tutti! cos'hai da sorridere per niente, con quella faccia sorridente mi fai venire una rabbia... Vado in camera a piangere! E intanto escono il
meno possibile, o si rifiutano di
uscire del tutto... Trovano che "questo mondo" non va bene, non vogliono vedere... Perché? a te piace?
ti domandano in faccia, severamente, se obietti che non ti spiacerebbe, sui diciott'anni, far qualcosa di bello... "Di bello? Non c'è mai
niente, a questo mondo, di bello!"...
tirsi"». E anche: «Preferiscono stare
ovagare nella loro stanza, sole, senza far niente... senza mai leggere,
senza neanche accendere la luce...
soprattutto per economia... finché
le altre irritatissime si mettono
a urlare: si può sapere cosa fa quella
là, di là?... Non, però, meditando
a luci spente: mai viene poi fuori dal
buio un mondo abbastanza spirituale, interiore, di pensieri, di
idee... Solo malori, disgrazie, disturbi: il peso sullo stomaco, un dolore
alla spalla, il mal di denti, una punta d'acetone, un bruciore, una puzza, si è dormito malissimo, non si è chiuso occhio, non si ha mai un attimo, le vicine sono state sveglie a divertirsi e il Signore le punirà».
Dunque, tra licei classici e omosessualità non esibita, doni ask don't tell, anche l'infanzia e l'adolescenza di Arbasino ebbero i loro bei traumi, che causeranno poi il suo famoso horreur du domicile.
Ma ecco il riscatto: in questo gioco di vite parallele, abbiamo un Capote che infine trova sé stesso a Manhattan, e Arbasino che adotta Roma come trampolino per la sua frenetica attività di viaggiatore e inarrivabile reportagista culturale «Nato a Voghera, rinato a Roma», scriverà di sé.
Infine, perché i due grandi scrittoi si incontrino, dobbiamo arrivare agli anni Sessanta. Truman ha già pubblicato con successo mondiale Colazione da Tiffany, ed è anche uscito il relativo film, che vede protagonista la cerbiattesca Audrey Hepburn, benché lo scrittore avesse concepito il personaggio della seducente e svampita escort pensando a Marylin Monroe. Alberto, d'altro canto, aveva pubblicato nel '63 il suo libro totem, Fratelli d'Italia, che poi riscriverà altre due volte nel corso della vita; come dice Masneri, è «l'Arbasino definitivo: inutile pretendere di leggerlo dall'inizio. Va aperto a caso, come l'I Ching». Se Capote ha già iniziato a essere intrattenitore, confidente e gradito ospite di giovani e bellissime miliardarie americane, dalui definite «cigni di Park Avenue»,
Arbasino è attirato dalle aristocratiche romane, con i loro palazzi affrescati, l'uso di mondo, l'attitudine sprezzante. Sono tutte presenti
in Fratelli d'Italia, ma con opportuni camuffamenti di nomi e fattereni. In particolare, Arbasino è affascinato dalla frequentazione con
la bi-principessa Laudomia, detta
Domietta, Hercolani del Drago. Elegantissima, arguta, curiosa, è la Desideria di Fratelli d'Italia. Fatto sta
che nei primi anni Sessanta i due
autori sono al centro del jet set, come forse nessun autore famoso
della contemporaneità è mai stato (a parte il francese Jean d'Ormesson, che però delle élite era parte
integrante per lignaggio).
Quanto alla ricchezza personale,
Arbasino, di famiglia benestante,
era molto abile nello spremere denaro a editori e direttori per cui
scriveva; e Capote era diventato ricchissimo: per il libro che lo renderà straordinariamente famoso, A
sangue freddo, reportage sulla strage di una famiglia di agricoltori
del Kansas avvenuta nel '59, e poi
sulla prigionia e l'esecuzione degli
assassini, aveva ottenuto un milione di dollari. Uscito nel'66 e pubblicato in precedenza a puntate sul
New Yorker, il libro trasformerà Capote in un personaggio televisivo,
interpellato nei talk show su qualsiasi argomento, dalla politica agli
omicidi.
Nel frattempo, gli Agnelli passavano parte delle loro estati veleggiando. Marella Agnelli, in Ho coltivato
il mio giardino (Adelphi), ricorda:
«Un amico che amava particolarmente venire in crociera con noi
nel Mediterraneo era lo scrittore
Truman Capote. Lo avevo conosciuto a New York ed eravamo diventati amici. Anche a Gianni stava simpatico, lo trovava spiritoso
e di ottima compagnia. Nel 1965
Truman si unì a noi per un viaggio in Grecia e Turchia che avevo
organizzato sul Sylvia, uno yacht
da crociera dei 1956. A bordo, oltre a me e a Truman c'erano Gianni, mio fratello Carlo con Ettore
Rosboch von Wolkenstein, nostro fratello da parte di padre,
Edoardo e mia cugina Allegra,
che avrebbe in seguito sposato
Umberto. C'era anche Katherine
Graham, editore del Washington
Post. Passavamo le giornate esplorando le coste. Tutti, eccetto Truman».
Poi, Marella aggiunge: «Negli anni Sessanta consideravo Truman uno dei miei più cari amici: eravamo, come si suol dire, amici per la pelle. Lui aveva un dono speciale: era una persona affettuosa e dotata di grande senso dell'umorismo. Quando lo conobbi avevo già letto due dei suoi romanzi e lo reputavo un giovane genio, ma non era quello l'aspetto più importante. Ciò su cui si basava la nostra amicizia, almeno per me, era un'affinità elettiva. Mi trovai a raccontargli cose
che non mi sarei mai sognata di dire a chicchessia. Lui sapeva come entrare nei pensieri e nell'intimità delle persone. Stava lì in agguato, come un falco. A volte mi chiamava: "Sono a Verbier e sto morendo di noia. Posso venire a stare un po' da te a Torino?". In corso Matteotti avevamo tre o quattro stanze per gli ospiti e la sua preferita era una grande camera da letto blu. Quando chiamava mi diceva: "C'è qualcuno nella stanza blu?", e poi si presentava carico di bauli Louis Vuitton traboccanti di disordine. Non sapeva mai per quanto si sarebbe fermato o per dove sarebbe ripartito». Come ha detto Dacia Maraini in una recente intervista ad Aldo Cazzullo, Arbasino «era molto snob, frequentava solo principesse e miliardari». Eccolo dunque salire e scendere da prestigiosi yacht, e proprio durante le stesse crociere agnellesche entrare in
ontatto con Capote subito detestandolo. Dato che
essere scrittori
non rende persone migliori né benevole, ecco alcune considerazioni
di Arbasino su Capote: «Trummy
veniva spesso in Italia, fin dai suoi primi anni "poverrimi" quando poi
raccontava soprattutto le pensioni e le trattorie di
Ischia o Venezia, con grande abbondanza di quei tratti folkloristici tanto apprezzati dai lettori
americani e inglesi: scogli, pesci,
crostacei, pomodori, vecchiette,
stufette, colore locale. Ma mentre
la sua carriera letteraria e mondana progrediva, diventò sempre
più instancabile e infallibile nelle ricerche e incontri con le celebrità della café society e del "jet set cosmopolita"».
In Stile Alberto, Masneri dedica qualche paragrafo agli sfottò di Arbasino: «Nella fondamentale e perfida introduzione al Meridiano Capote (1999), all'autore verticalmente svantaggiato nulla. Non la critica letteraria ("tante energie spese per scrivere
e descrivere non pittori e musicisti ma invece queste "sgallettate
e stracciacule" per cui il massimo sono Onassis e Tiffany"); tutti questi "grandi elaborati reportages su certi curiosi aspetti o fattacci della realtà americana o esotica" che finiscono poi in "smilzi prestigiosi volumetti presso gli editori di successo". E poi (gelosia canaglia?) la sudditanza alla famiglia torinese: qui Capote, chiamato "Genius" e utilizzato come "amuseur 24 ore" dalla dinastia della 127, viene a Roma dopo il successo di A sangue freddo, in vacanza all inclusive con la moglie del giudice del famoso processo per gli eccidi; e Marella li chiama "Trummy and Mummy". E poi scherzi tremendi: in ville italiane, si fa annunciare gravemente a un maggiordomo: «c'è donna Marella al telefono, dal Portogallo, presto», e lui di corsa attraversa infilate di saloni, e quando ansimante
prende finalmente l'apparecchio,
si riattacca.
Torniamo al '66. Truman è ormai il
prediletto confidente di una serie
di protagoniste della vita mondana, tra cui Babe Paley, Lee Radziwill
(sorella di Jackie Kennedy), Gloria
Guinness, Gloria Vanderbilt. Scrive Marella Agnelli: «La prima volta
che mi dispiacqui con Truman,
per via del rapporto che pensavo
di avere con lui, fu per una colazione che diede al Colony, su Madison
Avenue. In quegli anni era il club
più chic di New York. C'erano C.Z.
Guest, Babe Paley e molte, molte altre. Un immenso stormo di "cigni", come ci aveva soprannominato lui, alcuni dei quali non mi
stavano nemmeno granché simpatici, e che con Truman avevano suppergiù lo stesso rapporto
che avevo io». Forse, non potendo concedersi gelosia verso
l'hommeà femmes con cui era sposata, Marella divenne gelosa di
Truman.
Nel '66, Capote, desideroso di ricambiare con magnificenza le
ospitate in ville&barche, diede
una festa che diverrà celeberrima per sfarzo e nomi dei presenti: il Black and White Ball all'Hotel Plaza di New York. Gli invitati dovevano celare le proprie arcinote identità ed eleganze in
bianco e nero, nascondendosi
dietro una maschera. La festa
era data in onore di Kay Graham,
neovedova e dunque neoeditrice
di un impero editoriale che includeva il Washington Post e Newsweek. «Ho invitato 500 persone e
mi sono fatto 15mila nemici», dirà poi Capote (e Arbasino infatti
non c'era). Fu uno di quegli eventi
dove, per dirla all'americana, be
there or besquare. Se non ci sei non
vali nulla, almeno mondanamente parlando. E fu proprio dopo
quel successo nella sua scalata sociale, che iniziò la catastrofe di Capote. Mentre Arbasino, leggiadro,
elegante, informato, sempre più
erudito, volteggiava tra salotti
e
musei, teatri e castelli, Capote precipitava in una spirale autodistruttiva di dipendenze e sguaiatezze. Sempre Marella Agnelli: «La
vera e propria rottura avvenne
prima che Esquire pubblicasse,
nel 1975, un capitolo di Preghiere
esaudite, un romanzo a chiave in
cui Truman rivelava i dettagli della vita privata di molte persone
che, come me, lo avevano eletto
ad amico e confidente. Fu questo
il motivo per cui la pubblicazione
di quel capitolo fece tanto scalpore all'epoca. Truman aveva davvero superato ogni limite e così, da
un giorno all'altro, fu spietatamente ripudiato dalle persone
che lo avevano tenuto in palmo
di mano. Io lo avevo anche avvertito quando, durante una crociera
nel Mediterraneo, mi aveva dato
da leggere qualche capitolo del
suo libro — leggo l'inglese molto
lentamente—per avere la mia opinione. Mi sembrava tutto così superficiale che tentai di metterlo
in guardia. «Truman, gli dissi, cosa hai scritto? Sembra uscito da
un giornale scandalistico, in che
guaio ti stai infilando?».
Incapace di terminare il nuovo romanzo, sempre in televisione a dire cattiverie, capriccioso e infelice, Capote aveva finito per pubblicare su Esquire, il racconto La Côte
Basque, che era parte del romanzo Preghiere esaudite, libro che non
riuscirà mai a terminare e che verrà pubblicato incompleto solo dopo la sua morte. Era il romanzo-verità che avrebbe dovuto dargli le
stimmate di Proust americano, rivelando al mondo i segreti delle
divine mondane che lo avevano
introdotto in società. Ma in seguito alla pubblicazione, la riconoscibilissima vedova Woodward di
cui sparlano i due protagonisti,
accusandola di essere un'assassina mentre sono seduti al tavolo
del ristorante che dà il titolo al
racconto, si suicidò con il Veronal, imitata poi dai figli.
«Ma cosa si aspettavano? Sono
uno scrittore, utilizzo tutto. Davvero pensavano che io fossi lì solo
per divertirli?», scriverà poi Capote, coniando un interrogativo retorico che da allora ogni scrittore
ha utilizzato per vampirizzare le
vite di amici e famigliari, senza
nemmeno darsi la pena di cambiare nomi e sembianze. Al culmine del successo, era come se Capote avesse premuto il pulsante
dell'autodistruzione.
Lo scaltro Arbasino passava invece da un riconoscimento all'altro.
Negli stessi anni della decadenza
di Capote, sempre elegante e ambito, sfornava un libro dietro l'altro. Super Eliogabalo, La bella di Lodi, Sessanta posizioni: romanzi, personal essays, reportage dottissimi.
Come scrive Masneri, «sguazzava
nel demi-monde vero con perseveranza,e non c'è villa sull'Appia Antica che non esponga le sue opere
autografate sui caffee table». Ben
attento a non rendere riconoscibili le principesse e le duchesse che
finivano tra le sue pagine, il vogherese riteneva la Recherche e Preghiere esaudite «l'opera che uccide
il suo autore». Di fatto, Arbasino è
morto ancora attento al proprio
aspetto a 90 anni, laddove Capote
s'è distrutto a forza di droghe e alcol e controversie, morendo a soli
60. Soprattutto, come scrive Masneri, Arbasino pur mettendo in
scena un mondo contiguo e a tratti analogo a quello di Preghiere
esaudite causò «solo qualche pettegolezzo tra letterati, arrabbiature
di Moravia, poca roba».