Recensioni / Parole su Roma scritte 50 anni fa da leggere oggi

Aprire un nuovo dibattito sul rapporto tra l’architettura e la città contemporanea, protestare contro la politica edilizia dell’Italia del dopoguerra, lottare per preservare il verde urbano e per una riforma urbanistica che individua nella pianificazione l’unica strada per incidere in modo efficace sulla città e quindi anche sulla realtà. Sono solo alcuni dei temi al centro di Dal progetto alla storia, il volume curato da Luka Skansi per Quodlibet che raccoglie gli interventi pubblici giovanili di Manfredo Tafuri, tra gli storici d’architettura più significativi del XX secolo. I principi centrali elaborati nei saggi raccolti nel testo risultano cruciali anche a decenni di distanza dal momento in cui sono stati scritti.
Tafuri infatti, mentre insegnava all’università come assistente di Ludovico Quaroni, portava avanti un primo impegno nella progettazione architettonica e si esprimeva criticamente sulle questioni urbanistiche più urgenti degli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare quelle relative allo sviluppo della sua città natale, Roma. L’autore si muove così in questi saggi – elaborati insieme ai compagni universitari Enrico Fattinnanzi, Giorgio Piccinato e Vieri Quilici – tra attivismo civico e politico e pratica progettuale, tra analisi archivistica e critica storica, passando quindi dalla situazione dei centri storici in Italia al progetto firmato da Kenzo Tange per l’espansione di Tokyo, dalle iniziative di Italia Nostra a fianco di Antonio Cederna e Italo Insolera (di cui è impossibile non ricordare il capolavoro urbanistico, Roma moderna) alla speculazione edilizia.
Al centro dei suoi interventi spesso però ritroviamo Roma, con tutti i suoi problemi di città che vive una crescita senza controllo. Il piano regolatore – denuncia Tafuri in un articolo del 1960 – è la mera ratifica di una “politica urbanistica che preferisce far decidere il destino di Roma dai padroni della città”: manca una visione unitaria e organica e gli effetti si ripercuoteranno nei decenni a venire. Tafuri si interessa anche della lotta per preservare il verde urbano della capitale, che vive una drammatica riduzione, e in particolare ai piani presentati nel1961 da Italia Nostra per Villa Borghese, il Gianicolo e Villa Doria Pamphilj, intendendo tutelarli dalla speculazione edilizia trasformandoli in moderni parchi pubblici.

Roma è da sempre il centro della cultura architettonica italiana: ripercorrerne le vicende urbanistiche dal 1945 al 1961 significa anche scoprire come queste si sono ripercosse nel resto del Paese. Per Tafuri “forse in nessun’altra città europea il fallimento della architettura moderna nei suoi programmi ideologici e nella sua volontà progressista è più evidente che a Roma”, dove una borghesia “corrotta e priva tradizionalmente di ogni residuo ideale” è riuscita “a sopire e annullare quasi l’azione impegnata di pochi intellettuali isolati in un clima malato e indifferente ai loro sforzi”.

Tra i temi attuali ancora oggi c’è la questione dei centri storici, sulla cui collocazione e utilizzo ci si interrogava già nel 1964, ben prima dell’arrivo del turismo di massa e della gentrificazione che rischiano di trasformare il cuore di molte città italiane in una vuota vetrina (come non pensare agli esempi di Venezia e mi verrebbe da dire soprattutto Firenze?).

Tafuri nel suo saggio precorre i tempi, lanciando un appello per non ridurre i centri storici a periferia ma integrarli in maniera omogenea nella città moderna, rendendoli il più possibile vivibili e vissuti. Solo così, ammonisce l’autore, i cittadini si abitueranno a vedere nei centri storici non “un patrimonio morto da proteggere contro i continui attacchi, ma l’orizzonte stesso della loro storia, da vivere e consultare giorno per giorno”. La strada che ci indicano questi saggi è valida ancor oggi, la speranza è sempre la stessa: gli amministratori sapranno far tesoro di indicazioni preziose come queste o continueranno a pensare i centri delle città come vetrine da postare su Instagram e le periferie come parti aliene in cui confinare il residuo vitale che ancora anima i nostri capoluoghi?