Recensioni / La guerra di Avallaunius

La narrativa fantastica, in particolar modo nelle sue declinazioni di genere, mantiene in grembo qualcosa della vox populi, di emozioni serpeggianti e diffuse, di elementi mitici circolanti in una società. Inevitabile che l'inquietudine per le grandi crisi degli ultimi anni (la crisi economica che in antico sarebbe stato carestia, la pandemia, ora la guerra) e le ondate di depressione derivatene nel quotidiano delle nostre case, dietro i paraventi dei social, sedimenti in narrazioni, con la stessa libertà con cui per secoli i cavalieri dell'Apocalisse sono stati trattati dagli artisti. Si pensi solo, per i giorni che stiamo passando, alla guerra, con brividi che vanno ben oltre la paura e la pietà: e non stupisce il recupero per Quodlibet di un'opera madida di tali fremiti, il famoso romanzo breve di Arthur Machen, Il terrore (a cura di Giuseppe Lucchesini, pp. 152, € 12, Macerata 2022). Che il contesto bellico da sempre sia avvertito come abitato da misteri e spettri è documentato sin dall'Iliade: nella letteratura moderna basti pensare alle ossesse storie di soldati di «bitter" Bierce (cfr. Ambrose Bierce, Il Dizionario del Diavolo e altre ombre di pace e di guerra, Mondadori, pp. 684, € 25, Mondadori, Milano 2022), ma Machen conduce l'operazione a un livello allusivo e simbolico persino più ampio.
Spesso banalizzato in Italia quale semplice ispiratore di Lovecraft — secondo almeno il lovecraftismo degli stenterelli (si passi la parafrasi di Carducci) di un certo tipo di fandom naïf e ideologicamente equivoco italiota — il simbolista Machen (1863-1947) è in realtà un autore assai più ricco e complesso di quanto così percepito, sofisticato ed elegante, compiutamente letterario. Il suo Galles illuminato da insperate epifanie graaliche — sull'onda di un misticismo cristiano medievaleggiante che Machen, nome iniziatico Avallaunius, celebra assieme agli epigoni non più maghi della vecchia Golden Dawn — è altrove reso livido da emersioni di un Male spiazzante, spesso liberato ottusamente dagli uomini. Con orridi esperimenti contro natura e l'improvvido titillare di passati pericolosi, come in Il Gran dio Pan (1894) o Il popolo bianco (1904) o invece attraverso una dissacrante superficialità che porta morte. E in particolare attraverso quel primo conflitto mondiale che sembra sovvertire ogni regola del vecchio modo di combattere e delle stesse leggi della natura: uomini che recano morte sott'acqua (come nell'U-20 che affonda il Lusitania, si veda il racconto The Happy Children del 1920) e nell'aria, regni di norma interdetti ad Adamo. La morte del tenente pilota Western-Reynolds abbattuto nella tarda primavera 1915 da uno stormo di piccioni è solo l'inizio. Attenzione, segue spoiler.
Dopo aver dato involontariamente origine col suo racconto patriottico The Bowmen (1914) al mito degli angeli di Mons — sull'esercito inglese miracolosamente salvato da un intervento soprannaturale, storia che conoscerà come ogni urban legend infinite declinazioni — Machen con The Terror (1917) mostra le ripercussioni della guerra nel Galles rurale e qui e là a macchie di leopardo in tutta la Gran Bretagna, lontano dai campi di battaglia, dove prendono a consumarsi eventi inesplicabili e terrifici. Orrendi e incomprensibili decessi risultano ancora più inquietanti per la sordina ansiogena della censura governativa e per i fantasiosi timori su inedite forme di attacco tedesco. Il tutto si interromperà a un tratto, lasciando spazio a interpretazioni oblique (che sembrano prefigurare la sincronicità di Jung): ma il sospetto è che si tratti di uno strappo cosmico. Contagiato dal desiderio di morte degli uomini o ribellatosi per l'abdicazione di Adamo alla sua dignità spirituale, il mondo animale inizia a proclamare le parole sulla Fine. Per ora rinviata: per quanto?