Recensioni / Cinelab. Punti di vista. Jean Louis Schefer 1938-2022

A pochi lettori italiani, a pochi cinefili, il nome di Jean Louis Schefer dirà forse qualcosa. Ora che questo importantissimo studioso ci ha lasciato, lo scorso 8 giugno all'età di 83 anni, proviamo a ricordarlo, nella speranza che qualcuno, incuriosito, decida di avventurarsi nei suoi libri. Partendo magari da L'uomo comune del cinema, pubblicato da Cahiers du cinéma/Gallimard nel 1980, e in Italia da Quodlibet nel 2006. Un libro davvero unico: enigmatico, proustiano, di raro magnetismo, dove i ricordi di infanzia fanno i conti con i traumi della guerra, il rumore di aerei bombardieri, le esplosioni, e si confondono con la fragilità effimera delle immagini tremolanti viste in seguito, diffuse da un proiettore. Esperienza del tempo e delle immagini, tutto il libro fa i conti con gli effetti di memoria colti da uno spettatore:un "uomo comune", il cui mestiere non è il cinema. È infatti la pittura il primo amore di Jean Louis Schefer. Pone le basi per una semiologia della pittura con Scenografia di un quadro (1969), scritto a Venezia. Se ne allontana però subito, liberandosi da ogni accademismo. L'interpretazione è una produzione di forme. Si occupa di Paolo Uccello, El Greco, arte paleolitica, Goya; scrive di letteratura, di Sant'Agostino - e di cinema, ovviamente. Scrittore "senza romanzo", non ha mal smesso di interrogare figure dipinte, immagini mobili, o cose scritte. L'unico romanzo, scritto nel 2009, intitolato La cause des portraits, racconta la storia di quell'infanzia segnata dalla guerra, dall'immagine fatale di un quadro e di una fanciulla. Andrebbe letto insieme a L'uomo comune del cinema.