Recensioni / Robert Walser. Il mondo poetico di un sognatore

«Il carattere più spiccato in me è che sono una persona del tutto, quasi ... esageratamente, comune», fa dire Robert Walser a un personaggio di un racconto breve, il signor Hebling, «Sono uno dei molti, e proprio questo mi pare così strano. Io trovo strani i molti, e penso sempre: "Che fanno, come passano fl tempo tutti costoro?". Io scompaio letteralmente nella massa dei molti». Il tema di un naturale, spontaneo (più che cercato) anonimato dell'individuo è uno dei leitmotiv dell'opera walseriana. Il punto di vista dei suoi personaggi ha qualcosa di perennemente estraneo, e indefinito; un tratto costante di delicatezza, un fare - che vuol dire anche un porsi, posizionarsi - sempre sommesso. Sono figure che vivono in punta di piedi, osservando la vita da dietro una lastra tersa ma di vetro sgranato, una lente la cui sfocatura fasi che la stessa realtà possa venire trasfigurata, non in sogni, ma in Visioni sognanti, di umani sognatori. Sono personaggi impegnatissimi a decifrare le cose, arguti osservatori di avvenimenti al pari che di oggetti, il tutto considerato secondo ottiche interpretative capaci di incuneare le stesse cose in un prisma trasformante, di fantasia e soggettvità. Così per le splendide prose brevi che compongono la raccolta Una cena elegante (Quodlibet, traduzione di Aloisio Rendi, pp. 144, euro 14) scritte da Walser tra il 1913 e il 1914, dominate da una grazia dello stile che è anzitutto grazia dello sguardo, sua poesia. Una poesia che deriva da una visione quasi pittorica del mondo, dei paesaggi. Può essere un tragitto in mongolfiera ("Viaggio in pallone") in cui il mondo h guardato dall'alto; o visione di nuovo distanziata, perché onirica ("Visione di sogno"), di una realtà dove «la vita era mite e selvaggia insieme, e odorava, ahimè, così indicibilmente di felicità, e a un tratto ecco che la buona e` innocente felicità d'amore giaceva in terra, fatta a pezzi». Quali che siano i frangenti narrativi (i più vari e diversi) lo sguardo di Robert Walser sempre risulta di lancinante profondità narrativa e insieme di delicatissima, tenue poesia. Controparte delle psicologie dei protagonisti, psicologie spesso a loro stessi incoglibili, c'è il loro guardare il paesaggio e restituirlo attraverso nitide - e meravigliose - descrizioni. In scorci o in vedute ampie, in porzioni di panorami o sue stratificate versioni complessive, la natura è di continuo presente crogiuolo del mondo, culla di comuni esseri umani incantati al suo cospetto. Così in L'assistete, primo romanzo di Walser (19O8, ora nella nuova traduzione di Cesare De Marchi, Adelphi, pp. 237, euro 19). Anche qui il protagonista, il giovane Joseph Marti, alle prese confa sua esperieriza di segretario di un ingegnere stravagante e al tracollo economico, come il signor Herring si interroga su sé stesso, alla ricerca qui non della propria banalità e indistinzione ma del suo opposto, della propria singolarità («l'essenziale era che la sua vita, tutta la sua vita, quella che aveva condotto fino allora e la presumibilmente futura, ecco questa era singolare»). Comune e anonimo, o invece unico e singolare, l'uomo walseriano trova pausa e pace agli enigmi della sua sensibilità contemplando la natura, lasciandosene permeare. «La natura fa valere ovunque i suoi diritti. Dove regna la natura vi è sempre dignità» riflette l'assistente Joseph Marti. È l'incanto del futuro Walser di La passeggiata, quello che Marti prova nel volgersi intorno con autentica gioia dello sguardo. «Tutto era calmo e raggiante. Un gradevole oblio in quelle giornate lo spingeva lungo le belle vie del paese. Il mondo ai suoi occhi era calmo, placido e buono e assorto». Oppure è una gita in città, tra le cui strade Joseph Marti cammina, una volta di più in cerca di distrazione, di ristoro peri pensieri invece ossessivamente calamitati dalla vita del suo superiore, matrimoniale e di lavoro, la strana vita al collasso dell'ingegner Tobler. Sempre lo sguardo del protagonista osservatore si sposta alternandosi tra interiorità e inondo, tra sensazioni e paesaggi, tra.stissulti e dubbi e all'opposto alberi, cieli, case. Karl Walser, noto pittore e fratello maggiore del grande scrittore svizzero, fece un ritratto di quest'ultimo nei panni di un ragazzino con un travestimento, uno strano mantello a coprigli la testa e le spalle. C'è tutto il mondo di Robert Walser in quel ritratto, nell'espressione indecifrabile del suo sguardo per come è immortalato dal fratello artista e antagonista. L'incanto, il camuffamento, l'innocenza, l'astuta trasognatezza. Quella vita immaginaria che - a dispetto dell'instabilità mentale che gli verrà diagnosticata, lasciato solo dai familiari, sino all'internamento in un Istituto sede per lui di assurdi trattamenti e cure - insegue e segna Walser rendendolo sublime scrittore, maestro di uno sguardo che sa posarsi. sulla natura tanto quanto sull'animo intimo, sempre in uno stato di fanciullesca, inesauribile, così sapiente e saggia meraviglia.