Recensioni / Cristina Venneri, Corpomatto

Marta vive a Taranto con la nonna (bisbetica e territoriale peggio di un ciclide africano d'acquario) e la madre lamentosa e alcolizzata ("l'appartamento della nonna si trovava all'ultimo piano di una palazzina situata all'estremità del quartiere più inquinato della città. Oltre, una distesa di terreno lacero, improduttivo. Il panorama mostrava nubi di vapore bianco pieno e fiamme che di notte incendiavano il cielo. Il balcone dello studio ricavato era ricoperto di uno strato di polvere argentata che quotidianamente si depositava sulle mattonelle") dacché i suoi genitori si sono separati. Terminato il liceo si trasferisce a studiare Lettere all'Università di Messina conducendo una vita pigra, ricca di socialità vagamente debosciata e scarsamente dedita allo studio, tanto che - nonostante il rapporto intimo (nei limiti della decenza) con il professore di Letteratura italiana - dopo qualche anno improduttivo si vede costretta a mollarla e a tornare in Puglia. La vicenda non è delle più amene e inconsuete, seppur assai gradevole, e anzi strizza l'occhio a tematiche diffuse e dinamiche vagamente usurate (anche a causa dello pseudoautobiografismo che certo s'orecchia ma che non è semplice quantificare, sebbene il percorso di Marta e quello di Venneri - come spesso accade negli esordi, e a giudicare dalla breve nota biografica riportata nel volume - presenti delle evidenti analogie. Ma l'interesse per il libro (apprezzabilissimo) scaturisce soprattutto dalla questione stilistica lavorata in modo veramente peculiare: un periodare originale e tentacolare, sostenuto o continuo, che disconosce (quasi del tutto) consapevolmente l'utilizzo della virgola, procede ritmico e incantatorio e prolifera rotondeggiante sulla pagina avvolgendola e avvolgendoti; un periodare con incastonati passaggi di alto livello ("e forse in quel momento aveva la sensibilità aumentata dall'amore che è un vasodilatatore che ossigena l'ovvietà che quotidianamente ci circonda"). L'ambito narrativo in cui l'autrice si trova maggiormente a proprio agio e dimostra un talento non comune è quello delle relazioni emotive: il rapporto di Marta con il batterista che conosce a Messina e che poi a distanza e tra mille peripezie continua a frequentare, quello intimo, affettuoso ma in parte distaccato con il padre non convivente, quello schermato ed evitante (per proteggersi) con la madre (il cui alcolismo è particolarmente sviluppato con tanto di emorragie gastriche e conati ripetuti di sangue) che si fa talvolta regressivo ("mi si strinse lo stomaco a vederla partire - avrei voluto tenerla con me in un angolo della mia vita e continuare a dormire rannicchiata nell'incavo del suo ventre per sempre"), quello spigoloso con la nonna (rampolla di una nobile famiglia delle Murge e sposata con un bracciante, cosa che le procurò il distacco dai parenti e un immane attaccamento alla sua casa coniugale, suo impero e feudo e isola/tomba di pace vedovile).

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