Recensioni / Corrado Claverini, La tradizione filosofica italiana. Quattro paradigmi interpretativi

Esiste la possibilità di rintracciare il motivo peculiare, o quantomeno di individuare un nucleo limitato e riconoscibile di problemi a cui risponderebbe la tradizione filosofica italiana? Inoltre, quando si fa segno a essa, che cosa si intende circoscrivere a livello spaziale: i limiti di uno Stato, della Nazione, della lingua, dí un territorio o piuttosto) di uno stile? E quand'anche si decida in quale di questi sensi delimitare l'indagine, essa non ci restituirà tutt'al più la mappatura di un'eterogeneità difficile da sintetizzare sotto l'egida di una qualsivoglia generalità? Infine, ha senso interrogarsi su una eventuale maniera circoscritta e parziale di porre e affrontare problemi in un mondo sempre più globalizzato e transnazionale, rischiando di inciampare nei pericoli per certi versi opposti, ma qualche volta complementari, di un ingenuo campanilismo o cli un pericoloso e tronfio nazionalismo? A queste e altre domande tenta di rispondere il saggio di Corrado Claverini testimoniando già, attraverso la propria impostazione, la possibilità di una risposta: la tradizione filosofica italiana, se ve n'è una, si riconosce per la ceni ralità del confronto con l'istanza storica, sebbene questa sia stata interpretata in senso diverso.
In fondo, la storia, definendo il lungo di incontro con la contingenza, quell'elemento della vita con cui bisogna sempre mediare, discutere, trattare un accordo, è il campo di una tale ricchezza e varietà di condizioni, nelle quali si costituiscono necessariamente una pluralità di modi a cui rispondervi. In breve, la particolare varietà delle proposte teoriche che si possono ascrivere al territorio italiano (è a questo concetto deleuziano, insieme a quello complementare di deterrrilorializzazione che Claverini, seguendo in questo Roberto lsposito, si rifà, almeno programmaticamente, per l'individuazione di un possibile luogo del pensiero nazionale) è tale proprio in virtù di questa loro predisposizione all'estrollessione, al confronto con i problemi che, di volta in volta, la storia ci presenta per medio della sua configurazione mondana. Per Claverini è proprio questa l'attitudine che differenzia il pensiero italiano dalla cosiddetta French Theory, nata piuttosto nel solco di una prohlematizzazione delle questioni relative alla dimensione dell'interiorità e della coscienza (sebbene sviluppatasi poi in differenti esiti), e dalla German Philosophy, orientata invece da una riconoscibile tendenza metafisica. A ulteriore conferma di questa propensione verso il "fuori" vi è lo stesso fatto che, oggi, il problema dell'identità del pensiero italiano è posto in virtù del successo che sta riscuotendo all'estero, in particolare in Nord America, dove si moltiplicano pubblicazioni e convegni su quello che è stato definito Italian Thought. Se quindi questa categoria è indagata in virtù della sua "fecondità in relazione a un discorso sul presento." (p. 114), in particolare a confronto con i problemi relativi al vivere nel contesto di una società sempre più globalizzata e, "con l'unica eccezione di Esposito, gli esponenti dell'Italian Thought si riferiscono solo agli ultimi decenni della filosofia italiana (dall'operaismo degli anni sessanta alla biopolitica contemporanea) e non alla nostra intera tradizione di pensiero" (p. 113), per Claverini indagarne la specificità e la storia è necessario proprio in virtù di una possibile resistenza alle forze omologanti che agiscono nella società in cui viviamo.
Queste, infatti, sono orientate verso l'eliminazione di quelle differenze e pluralità che sono funzionali a un cosmopolitismo non inteso come "pensiero unico", quanto piuttosto come una ragione emersa dal confronto dialettico tra le specificità delle lingue e delle culture che vi concorrono.
In questa prospettiva Roberto Esposito, esponente di spicco e, al contempo, storico dell'Italian Thought, si pone nel solco di quella che è una vera e propria tradizione storiografica, la quale ha indagato la tradizione filosofica italiana con lo scopo di scoprirne ricchezza e specificità, particolarità e al contempo relazione con i problemi più generali del pensiero. Questa tradizione, secondo Claverini, si è sviluppata, da metà del XIX secolo a oggi, in quattro più grandi e riconoscibili paradigmi interpretativi, rintracciabili nel lavoro di Bertrando Spaventa, Giovanni Gentile, Eugenio Garin e, appunto, Roberto Esposito. Non sfugge inoltre come, secondo la lettura dí Claverini, la stessa indagine storiografica di questi autori - sempre guidata da una forte matrice teorica - testimoni anch'essa della tendenza che abbiano riconosciuto comune al pur così variegato e plurale oggetto d'indagine: la necessità di un confronto con i problemi dell'attualità, che fa della storia della filosofia lo strumento per qualcosa di più di una mera erudizione filologica. Questo è assolutamente palese in Bertrando Spaventa, filosofo abruzzese che, in pieno Risorgimento italiano, ha introdotto, per mezzo di un ciclo di seguitissime lezioni tenute all'università di Napoli, quel paradigma, poi fatto oggetto di revisione e ampliamento da parte di Giovanni Gentile, che risponde alla formula della "circolazione europea del pensiero italiano" (p. 32). E ciò in polemica con quel radicato orientamento che, prendendo le mosse dal primo Gioberti e da una vincolante interpretazione del De antiquissima italorum sapientia di Vico, postulava "l'idea di una sapienza italica antichissima, perenne, autoctona, indipendente dalle filosofie straniere" (p. 35), proprio in un territorio dove "all'esclusione dell'altro, tipica di India e Grecia, si contrappone nettamente già Roma, che 'assorbe e non esclude' le altre nazioni" (p. 33). Per Spaventa, quindi, la filosofia è totalmente europea e "il concetto cli filosofia nazionale è ammesso solo nella sua relazione dialettica con l'universalità del pensiero" (p. 33), ragion per cui la specificità dell'ingegno italiano è ascrivibile al ruolo precursore che esso svolge nello sviluppo di questa universalità. Quindi, i grandi pensatori del Rinascimento avrebbero precorso le grandi conquiste della modernità, per cui "Campanella, Bruno e Vico anticipano rispettivamente Cartesio, Spinoza e Kant" e, "anzi, per la precisione, l'autore della Scienza Nuova precorre anche l'idealismo tedesco" (p. 32), secondo un movimento circolare per cui l'evoluzione in questo senso intesa del pensiero filosofico europeo si invera, infine, nella riflessione degli italiani Galluppi, Rosmini e Gioberti.
A testimonianza di quanto già si scriveva, quindi, al di là delle ripetute critiche circa l'incompletezza o l'arbitrarietà di questa ricostruzione, è evidente l'intento) pedagogico e militante, in un momento cruciale per la promulgazione di un'autonomia nazionale e culturale per cui, secondo gli ideali risorgimentali, con le parole dello stesso Spaventa, "nazionalità non significa più esclusione o assorbimento delle altre nazioni, ma l'autonomia d'un popolo nella comune vita de' popoli" (p. 33). Il secondo paradigma preso in esame da Claverini, quello, potremmo dire, filologico-idealista di Giovanni Gentile, è così in perfetta continuazione del primo, del quale si propone esplicitamente di riempire i vuoti, rimpolpando l'apparato storiografico per mezzo di una più coerente attenzione filologica. E noto coree la ricostruzione storica di Gentile sia, sulla scia di questo proposito, molto più documentata e ampia, per esempio rintracciando gli albori di un pensiero nazionale prima dell'Umanesimo, con l'attività della corte di Federico II e la diffusione dell'averroismo, nonché nel pensiero di Tommaso d'Aquino e in Dante Alighieri, e integrando nella trattazione momenti fondamentali ma dimenticati da Spaventa, come Galilei e la rivoluzione scientifica, nonché Genovesi e l'illuminismo italiano. Tuttavia a prevalere è sempre una forte impronta speculativa, orientata a riconoscere nella tradizione italiana quel "processo di progressiva immanentizzazione verso la vera filosofia che è l'idealismo stesso" (p. 54). E così solo con il lavoro di Eugenio Garin, ovvero con il terzo paradigma storiografico trattato) in questo saggio, che la storia emergerà davvero in primo piano, in una prospettiva che ne segue discontinuità, mutamenti e pluralità, "senza che vi sia una 'logica' sotterranea a guidarne il movimento" (p. 87). Una prospettiva che vede sì, ad esempio, nel Rinascimento l'origine della tradizione filosofica italiana, ma secondo una visione che, nel suo rapporto col Medioevo, non enfatizzi i termini di una rottura ideologica, a testimonianza di un sicuro procedere della storia del pensiero nel senso univoco del progresso, ma che sottolinei piuttosto la nascita dell'originalità nella continuità per cui, con le parole dello stesso Garin, "il nuovo è nuova e originale risposta a problemi lentamente maturati e lungamente meditati, risoluzione magari rivoluzionaria, ma di questioni storicamente imposte" (p. 94). La storia, inoltre, ha il potere di imporre sempre diverse e variegate condizioni, per cui le risposte del pensiero si dispiegheranno in una eterogeneità tale da rendere difficilmente riconoscibile trame unitarie. "tuttavia (Claverini sottolinea come, alla fine, anche seguendo Garin e coloro che, argomentando per una ecletticirà dei temi e dei problemi, si posizionano nella sua linea interpretativa — come è il caso di Ciliberto ad esempio — sia possibile individuare quantomeno due direzioni principali, due caratteristiche che in qualche modo possano essere indicate, per questi autori, come peculiari di una tradizione nazionale: la vocazione etico-civile e il sentimento del tragico, maturato quest'ultimo proprio nella consapevolezza della potenza insita nell'imprevedibilità della fortuna e dell'evento storico correttamente inteso. L'ultimo paradigma, infine, è proprio quello dell'italian Thought di cui abbiamo scritto in apertura, il quale è stato indagato secondo una prospettiva storiografica di ampio respiro da Roberto Esposito in Pensiero vivente (Einaudi 2010) dove il filosolo, riconoscendo proprio nella tendenza alla estroflessione, alla deterritorializzazione e allo sconfinamento — oltre che nella centralità del concetto di vita — il tratto comune del pensiero italiano, ha prestato il fianco a numerose critiche circa l'arbitrarietà o veno di una simile ricostruzione, ma ha sicuramente avuto il merito di richiamare l'attenzione su una tradizione filosofica che, probabilmente, riserva ancora proficui e vivaci strumenti per l'interpretazione del presente.

Recensioni correlate