Il libro curato da Cecilia Cristofori Andar di notte. Viaggio nella
nwvida delle città medie (Quodlibet, pp. 208, euro 18) affronta in
maniera rigorosa, attraverso
una vasta ricerca empirica sul
campo, una questione da sempre calda nel dibattito pubblico:
quella del rapporto tra città e
fruizione del tempo libero nelle
ore notturne, fenomeno che ha
investito e contribuito a trasformare soprattutto i centri storici
italiani (e non solo), generando
continui conflitti tra residenti, gestori dei locali e avventori. Ma anche mettendo in imbarazzo le amministrazioni pubbliche locali investite dal compito di mediare e gestire i diversi interessi in campo.
Il libro consente di sbarazzarci
di due stereotipi che hanno dominato sinora il dibattito su tutto questo: quello sicuritario (la
movida è solo un problema di ordine pubblico) e quello economicista (la movida fa muovere l'economia), restituendoci tutta la
profondità e complessità di un
fenomeno che oggi costituisce
un elemento fondamentale nella vita delle città post-industriali
e senza il quale, la stessa costruzione della «città creativa» come
modello di sviluppo locale ai
tempi della società globale, è impensabile. Soprattutto nella società post-pandemica dove il desiderio collettivo di riappropriazione di quegli spazi e tempi limitati dall'emergenza sanitaria
è fondamentale.
Mentre il termine movida è ormai entrato nel lessico comune
per designare il loisir notturno —
in particolare dei più giovani —
in pochi ricordano la sua genealogia politica: esso nasce in Spagna
nel periodo post-franchista per designare il ritorno a una vita serena, libera e disimpegnata che si
esprimeva nella rinata vita notturna delle città spagnole. Fenomeno talmente dirompente e fonte
di costruzione della nuova identità collettiva della Spagna, da essere raccontata nei termini liberatori che essa esprimeva in numerosi film, come ad esempio in
conclusione di Carne Tremula
(1997) di Almodovar.
QUESTO ELEMENTO, sottolineato
nel libro, ci rimanda subito alla
principale dimensione ancora
oggi evocata dalla movida: quella del «carnevale», tempo liberato, effervescenza collettiva, valore della «socialità per la socialità» che rovescia l'ordine tra «dovere» e «piacere» dominante nelle ore diurne. La movida contemporanea pur essendo incentrata
sulle giovani generazioni coinvolge come suoi attori sempre
più le famiglie, i bambini e gli anziani, che entrano così all'interno della dimensione tradizionalmente «giovanilistica» e spensierata rappresentata dal loisir notturno, suggello di un decisivo
cambiamento degli stili di vita
contemporanei. Allo stesso modo, essa non si svolge più solo
nelle grandi città ma anche in
quelle «città medie» che costruiscono la loro identità, prendendo le distanze dalla diminutio tradizionalmente attribuita loro di
«città di provincia» — cioè sonnacchiose e noiose — anche attraverso lo sviluppo della movida. Questo capita senz'altro nelle tre città umbre prese in considerazione dalla ricerca (Perugia, Terni e
Foligno) dove a modelli di forte
concentrazione nel centro storico della movida, si accompagnano anche esperienze più diffuse
nel territorio cittadino e più socialmente e storicamente consolidate, come nel caso di Perugia.
I grandi temi sono dunque due:
il primo è il fatto che la movida
viene essenzialmente gestita e
organizzata dal mercato mentre
le istituzioni locali tendono ad andare a rimorchio e intervenire solo come regolatori degli immancabili conflitti tra residenti e attori.
Il tempo liberato andrebbe invece rimesso in rapporto con la
sfera pubblica, anche attraverso
la costruzione di un'offerta culturale e di adeguati servizi (non
solo di ordine pubblico, comunque importanti) in modo da reintegrarla positivamente nel più
complessivo sviluppo della città.
Il secondo è relativo al rapporto
tra costi e benefici: in genere la
movida comporta una socializzazione dei costi (spesso sopportati
dai residenti) senza alcuna corrispondente socializzazione dei benefici. Questo rimanda alla necessità di ricostruire un patto sociale tra generazioni e diversi attori
sociali in modo da ritrovare in
questa dimensione dello sviluppo
locale, quell'equilibrio che, istituzioni pubbliche locali troppo sulla difensiva, spesso non hanno saputo pienamente costruire nelle
città italiane contemporanee.