Per comprendere la ratio che soggiace all’orditura complessiva dei saggi raccolti nel volume di Fabio Moliterni, bisogna frequentare la poesia di Franco Fortini: Una contesa che dura è il titolo del volume edito da Quodlibet nel 2021, una formula che Moliterni prende in prestito dal poeta toscano. Come spiega lo studioso nella Premessa – lo spazio dedicato all’esposizione delle ragioni metodologiche, dei legami sostanziali e della storia editoriale dei singoli saggi –, l’espressione è tratta dai versi di Metrica e biografia del 1956. La contesa che dura è, dunque, la chiave di lettura del volume: l’oggetto del contendere si configura come un rapporto ossimorico – in accordo e in dissidio – tra «storia e natura», tra «l’io e gli altri», «una paradossale relazione di coappartenenza» (p. 13) che attraversa i testi poetici analizzati dall’autore nei dieci saggi che compongono il volume. Mentre il sottotitolo (Poeti italiani del Novecento e contemporanei) esplicita il campo di indagine e di verifica della contesa a cui alludono i versi fortiniani.
L’obiettivo del volume di Moliterni non è di attaccare il canone o di proporre un contro-canone alla tradizione poetica del Novecento. L’intento, semmai, è di mostrare una «costellazione di autori» (p. 11) che nella loro esperienza poetica prendono il via da «un’istanza tipicamente modernista, la coscienza di una rottura irreparabile dei legami tra linguaggio, esperienza e verità» (p. 12).
È interessante – data la natura eterogenea degli interventi e la loro iniziale presenza su riviste differenti («Critica letteraria», «Sinestesie», «il Verri», per citarne solo alcune) – evidenziare l’uso in sinergia di mezzi e di tecniche provenienti da una molteplicità di metodi di indagine: la critica tematica, le ricerche d’archivio, il close reading, «in una sorta di movimento pendolare tra commento e interpretazione, particolare e generale, passato e presente» (p. 11). La lettura del primo esergo – «Quanto più da vicino si guarda una parola, tanto più lontano essa guarda a sua volta» (da Karl Kraus) – precisa meglio la volontà duplice di Moliterni di porre da una parte la sua attenzione al testo poetico “da vicino”, lasciando affiorare le connessioni linguistico-stilistiche, dall’altra di adottare uno sguardo più largo e generale che tocchi le forme letterarie.
La «costellazione» di autori, come la chiama Moliterni, è estremamente selezionata perché si muove dentro e fuori il canone del Novecento italiano, spaziando dai primi novecenteschi con Clemente Rebora fino ai nostri giorni con Andrea Inglese, in un arco temporale e cronologico ordinato e sequenziale. Ebbene, il cammino critico di Moliterni è secante rispetto al canone, perché viene comunque a incrociarsi con esso, attraversandolo e fuoriuscendone allo stesso tempo: le analisi sulla Stimmung dantesca in Sereni o sulla poesia di Fortini entrano nel cuore della tradizione del Novecento, con una forza pienamente centripeta, mentre altrove il movimento critico di Moliterni riceve spinte centrifughe, assestandosi ai margini del confine nazionale – nella sua terra natale, la Puglia – e deflagrando su «vistose eccezioni» come il singolare studio su Girolamo Comi e il senso di «acronia che le avvolge [le sue liriche]» (p. 36).
Il saggio che apre il volume è il corposo commento sul Frammento LI di Clemente Rebora: dopo una prima analisi metrico-stilistica sul singolo componimento, Moliterni si inserisce nella matrice macro-testuale dei Frammenti per trarne un commento e un’interpretazione ad ampio raggio e raggiungere la «quête conoscitiva di Rebora» (p. 19). Il «falso movimento» del Frammento LI, in contrapposizione al «flusso vitale, bergsoniano» (p. 22), ferma il soggetto in un’azione meccanica e limitata nelle sue possibilità conoscitive; il LI è una pausa, un «ostacolo», o come lo chiama Fortini un «coagul[o]» (p. 20).
Una congiuntura estremamente interessante è quella che riallaccia le corde territoriali – e, forse, diremmo anche natie – all’indagine poetica di Moliterni: il denso studio sulle liriche comiane, una figura che oltrepassa i confini regionali nella costruzione della propria biografia intellettuale, per stagliarsi come «vistosa eccezione» (p. 31) nella palingenesi orfica, un caso unico rispetto alla linea poetica ufficiale di quegli anni, con inni d’ispirazione religiosa e cosmografica. Alla base di questo saggio – e anche di altri – spunta in maniera preponderante la presenza di Giorgio Agamben e del suo Categorie italiane. Studi di poetica e letteratura.
Nel corpus di questi saggi rivestono una notevole importanza i carteggi, fonti continue di materiale vivo. Moliterni in questo volume ne offre due esempi: il carteggio fra Vittorio Bodini e Luciano Anceschi e quello fra Roberto Roversi e Vittorio Sereni. Il primo mostra un «dialogo in praesentia e in absentia» (p. 46) tra due studiosi del Barocco, il poeta Vittorio Bodini e il critico Luciano Anceschi. Il loro scambio mette in moto un’idea di letteratura – a volte condivisa, altre discordante – in una relazione critica che recupera gli spazi fra tradizione e modernità. Il secondo epistolario è quello fra due poeti, l’esordiente Roberto Roversi e il poeta “scopritore” di altri poeti, Vittorio Sereni. La loro corrispondenza impone una nuova energia ideologica e rende partecipe dell’incontro fra due intellettuali, che in quel momento storico condividono la stessa prospettiva letteraria, lontana dagli sperimentalismi della Neoavanguardia. In questo carteggio, come in altri epistolari, Moliterni riscontra una costante in Sereni «che oscilla tra la sottovalutazione di sé e l’idealizzazione dell’altro» (p. 118).
A Roversi e alla sua poesia d’esordio è dedicato un altro saggio, nel quale emerge anche la figura di Giorgio Bassani che, come redattore di «Botteghe Oscure» leggerà per primo i versi di Roversi, e come direttore editoriale di Feltrinelli darà avvio alla prima pubblicazione compiuta del giovane poeta. Anche a Sereni Moliterni dedica un altro studio, un saggio sulla Stimmung dantesca nella sua opera. La presenza dantesca per Moliterni non si limita a essere un semplice riuso di modalità, un’allusione tematica, una citazione lessicale o una riscrittura parodica. Per Moliterni, che si appropria delle parole di Sereni pronunciate nelle scuole nel 1981, «l’attualità dei classici dipende […] dalla concreta possibilità per noi moderni di stabilire un dialogo non archeologico ma vitale con la tradizione letteraria e con i valori che essa incarna, all’altezza dei nostri tempi» (p. 85).
A Franco Fortini, artefice del fil rouge ideologico della «contesa che dura» è dedicato un corposo intervento critico sul tempo nella sua poesia. Secondo Moliterni la «cifra messianica» che viene fuori dai suoi versi – indubbio lascito benjaminiano – è sintomo di un «tempo che solca, come “segno urticante”, la sua scrittura» (p. 126); sulla scia della filosofia della storia di Benjamin, il “tempo” in Fortini è il segno dialettico e contrastivo del suo percorso intellettuale.
Gli ultimi saggi sfociano nella piena contemporaneità con le analisi sulle poesie (postume) di Benzoni, De Angelis e Viviani; la parola poetica di Enrico Testa; e la poesia (e la prosa) di Andrea Inglese.
Non è da meno lo stile di Moliterni, caratterizzato da una prosa chiara; uno stile pulito, tuttavia arricchito da un lessico elegante che spazia da termini non comuni e desueti, ma sempre ben imperniati nello scorrere lineare dell’andamento della frase: ci sono il suo lacerto e il suo abbrivio, per fare solo alcuni esempi. Questo risulta un pregio nel panorama della critica attuale, costretta anche a una semplificazione totale dei suoi significati, e spesso accompagnata da una prosa brillante, mancante però dei contenuti critici. In Moliterni si staglia una sintesi perfetta fra stile e scelte sofisticate: diremmo, per citarlo, una «vistosa eccezione».